venerdì 30 marzo 2012

Interrogazione dell'On.Antonino Russo alla Camera dei Deputati:dal 15 febbraio 2012 le Poste italiane s.p.a., senza ritenere necessario dare alcun preavviso alle relative amministrazioni comunali, hanno deciso unilateralmente di depotenziare la presenza di loro uffici in tre comuni madoniti: San Mauro Castelverde, Gratteri e Petralia Soprana.

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-15539
presentata da
ANTONINO RUSSO
giovedì 29 marzo 2012, seduta n.614

ANTONINO RUSSO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:

dal 15 febbraio 2012 le Poste italiane s.p.a., senza ritenere necessario dare alcun preavviso alle relative amministrazioni comunali, hanno deciso unilateralmente di depotenziare la presenza di loro uffici in tre comuni madoniti: San Mauro Castelverde, Gratteri e Petralia Soprana;

in tal senso, la decisione adottata è stata quella di lasciare aperti gli sportelli solo per tre giorni alla settimana;

il comune di San Mauro - per esempio - disponeva di due impiegati ma, una volta raggiunta la pensione per uno dei due, la dirigenza di Poste italiane s.p.a. non ha mai provveduto ad una sostituzione riducendo tout court il servizio con grave disagio per tutta la popolazione;

infatti, il summenzionato comune dista più di 30 chilometri dagli altri uffici postali disponibili nel territorio;

per questo, gli abitanti di San Mauro hanno manifestato raccogliendo più di settecento firme in calce ad una petizione;

il 20 febbraio 2012, i sindaci dei comuni sopraindicati hanno incontrato il dottor Riccardo D'Amico, direttore dell'Agenzia poste Palermo 2, che ha riconosciuto l'incidenza negativa del provvedimento sulla vita complessiva dei comuni assicurando il suo impegno per l'invio di altro personale;

tuttavia, all'impegno non sono seguite azioni concrete e, pertanto, il sindaco di Gratteri, Giuseppe Muffoletto, con telegramma inviato al dottor Riccardo D'Amico, ha preso atto con rammarico del mancato invio delle unità di personale promesse per consentire l'apertura della filiale -:

quali iniziative intenda adottare per ripristinare il servizio anche in vista delle nuove esigenze complessive di personale che saranno definite a breve ai fini di trasferimenti interregionali. (4-15539)

venerdì 16 marzo 2012

ATTO CAMERA DEI DEPUTATI: INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE DEL 14 MARZO 2012. Il 20 luglio 2011 una dipendente di Poste Italiane riceve il provvedimento di ricongiunzione che però non è gratuito, come pensava, ma oneroso e peraltro pure sbagliato. Dopo riesame l'Inps comunica a dicembre 2011 che per ricongiungere il periodo Ipost all'Inps ha un costo di 36.857,87 euro. Il pagamento della prime tre rate il cui costo è di 2.670 euro scade il 31 marzo 2012; la signora, però, non è in condizione di pagare, non lavora più e non è pensionata, nessuno è disposto a concederle prestiti; per avere la pensione di anzianità Inps calcolata con il sistema retributivo.

Atto Camera

Interrogazione a risposta in Commissione 5-06403
presentata da
MARIA ANNA MADIA
mercoledì 14 marzo 2012, seduta n.604

MADIA, GNECCHI, DAMIANO, GATTI, BOBBA, BERRETTA, BOCCUZZI, CODURELLI, SANTAGATA, BELLANOVA, MIGLIOLI, SCHIRRU, RAMPI e MATTESINI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali.- Per sapere - premesso che:

il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 come convertito dalla legge n. 112 del 2010, in particolare all'articolo 12, ha previsto che qualsiasi trasferimento o ricongiunzione di contributi avviene su domanda dell'interessato ed esclusivamente a titolo oneroso;

gli enti previdenziali, come è noto, suggerivano ai cittadini che si recavano ai loro sportelli di non affrettarsi con le richieste di ricongiunzione, perché si sarebbe trattato comunque di ricongiunzioni a titolo gratuito, se verso l'Inps;

a seguito dell'entrata in vigore di tale disposizione normativa i lavoratori interessati si sono trovati con una norma retroattiva senza le certezze e i diritti che solo qualche giorno prima erano in vigore;

per rendere evidente l'iniquità della norma introdotta, si riporta il caso specifico di una lavoratrice postale nata il 21 gennaio 1954. La signora ha svolto sempre lavoro dipendente con la stessa qualifica e mansioni dapprima presso ditte private poi con società collegate a Poste Italiane con iscrizione INPS per oltre 33 anni, infine con Postel con iscrizione IPOST per oltre 7 anni; il 21 luglio 2010 presenta la domanda di ricongiunzione verso INPS (articolo 1 della legge n. 29 del 1979) ed il 31 dicembre 2010 cessa l'attività lavorativa; tra Inps e ex Ipost ha complessivamente oltre 40 anni di contributi e riteneva che la ricongiunzione all'Inps della contribuzione Ipost fosse gratuita (la legge 122 che l'ha resa onerosa è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 luglio 2010, la lavoratrice ha presentato la domanda 9 giorni prima, il 21 luglio 2010, quando ancora tale operazione era gratuita);

solo dopo 1 anno, il 20 luglio 2011 riceve il provvedimento di ricongiunzione che però non è gratuito, come pensava, ma oneroso e peraltro pure sbagliato. Dopo riesame l'Inps comunica a dicembre 2011 che per ricongiungere il periodo Ipost all'Inps ha un costo di 36.857,87 euro. Il pagamento della prime tre rate il cui costo è di 2.670 euro scade il 31 marzo 2012; la signora, però, non è in condizione di pagare, non lavora più e non è pensionata, nessuno è disposto a concederle prestiti; per avere la pensione di anzianità Inps calcolata con il sistema retributivo dal 1o gennaio 2011 (ha presentato domanda a dicembre 2010) deve pagare la ricongiunzione. Altrimenti deve chiedere la pensione in regime di totalizzazione con calcolo contributivo, sia la quota Inps che quella Ipost; oltre ad un trattamento notevolmente inferiore perderebbe oltre un anno di pensione -:

se non ritenga il Ministro interrogato, in coerenza con gli ordini del giorno accolti dal Governo e la mozione n. 1-00690 approvata dalla Camera dei deputati, di assumere iniziative normative per correggere la norma sopra richiamata che sta comportando pesanti e negative penalizzazioni per il lavoratori e le lavoratrici.(5-06403)

giovedì 1 marzo 2012

LA RESTITUZIONE DI SOMME INDEBITAMENTE PERCEPITE DAL LAVORATORE DEVE ESSERE EFFETTUATA AL NETTO DELLE RITENUTE FISCALI E PREVIDENZIALI

Il datore di lavoro non può pretendere gli importi
lordi (Cassazione Sezione Lavoro n. 1464 del 2 febbraio 2012, Pres. Miani
Canevari, Rel. Arienzo).
Il datore di lavoro, nel procedere al recupero di somme indebitamente
erogate ai propri dipendenti, deve effettuarlo al netto delle ritenute fiscali,
previdenziali e assistenziali.
Deve in proposito rilevarsi che nel rapporto tra datore di lavoro e
lavoratore, il primo versa al secondo la retribuzione al netto delle ritenute
fiscali (nonché previdenziali e assistenziali). Ciò si verifica anche quando,
come nella specie, siano erogate al lavoratore, per errore, somme maggiori
di quelle dovute: anche in tal caso il datore opera, sulle somme
erroneamente erogate in eccesso, le ritenute fiscali, a loro volta erronee per
eccesso.
La ripetizione dell'indebito nei confronti del lavoratore non può non avere
ad oggetto, pertanto, che le somme da quest'ultimo "percepite", ossia
quanto e solo quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale del
predetto.
Il datore di lavoro non può, invece, pretendere di ripetere somme al lordo
delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali), allorché le stesse non
siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.


Commento dello Studio Legale Galleano

Somme da restituire al datore da parte del lavoratore
– Restituzione al lordo –
illegittimità
– La restituzione va effettuata al netto di tasse e contributi –
Cass. 1464/2012

Interessa molti lavoratori la questione del restituzione delle somme in conseguenza della sottoscrizione di accordi o di riforma della sentenza che comporta la restituzione di tutto o parte del risarcimento del danno a suo tempo percepito.
Sul punto, questo studio era già intervenuto sulla questione[1], precisando che, a nostro avviso, la restituzione doveva avvenire al netto dei contributi e delle tasse trattenuti da poste sulle somme a suo tempo corrisposte.
Ferma restando l’ipotesi di sottoscrizione di uno degli accordi sindacali raggiunti negli anni scorsi, di cui poi si dirà, la Cassazione con la recente sentenza 1464 del 2 febbraio 2012 (Pres. Miani Canevari, est. Arienzo) ha definitivamente stabilito che la restituzione di somme indebitamente corrisposte dal datore di lavoro al lavoratore, va effettuata al netto.
La sentenza ( leggi / scarica ) è particolarmente complessa. La Corte accoglie il 22° motivo di ricorso (l’ultimo), sicché per facilità di lettura, si riporta testualmente la parte che qui interessa, ferma restando la possibilità di scaricare l’intera decisione:
Fondato è invece, l'ultimo motivo di ricorso.
La questione oggetto di esame è se il datore di lavoro, nel procedere al recupero di somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, debba effettuare detto recupero al lordo o al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali.
Osserva al riguardo la Corte che, quanto alle ritenute fiscali, il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell'accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d'imposta, sul quale il giudice chiamato all'accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d'interferire. Ne consegue che, in sede di accertamento contabile delle differenze retributive spettanti ad un lavoratore, dalle somme lorde spettanti allo stesso devono essere detratte le somme corrisposte dal datore nel loro concreto ed effettivo importo, a nulla rilevando che il datore non abbia operato le ritenute fiscali prescritte (cfr. Cass. 7.7.2008 n. 18584). Quanto al diritto al rimborso di somme indebitamente percepite dal lavoratore, la sentenza della Cassazione da ultimo richiamata non affronta specificamente la questione della modalità del rimborso dell'indebito. Al riguardo deve osservarsi che il diritto al rimborso dell'imposta che si assume indebita, riscossa in tutto o in parte mediante ritenuta alla fonte, spetta in prima istanza al sostituito, il quale, ai fini della ripetizione della stessa, deve fornire la prova di aver subito detta ritenuta, senza dovere, altresì, dimostrare che l'imposta è stata effettivamente incassata dall'erario, ma anche il datore di lavoro, come sostituto d'imposta, ha facoltà di richiedere il rimborso dell'indebito, ed in questo caso dal calcolo di quanto il prestatore di lavoro dovrà restituirgli per importi retribuitivi indebitamente percepiti dovrà essere esclusa la ritenuta d'imposta già versata all'amministrazione finanziaria (cfr. Cass. 11.12006 n. 239).
Tale orientamento si fonda sulla considerazione che, nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, il primo versa al secondo la retribuzione al netto delle ritenute fiscali (nonché previdenziali e assistenziali). Ciò si verifica anche quando, come nella specie, siano erogate al lavoratore, per errore, somme maggiori di quelle dovute: anche in tal caso il datore opera, sulle somme erroneamente erogate in eccesso, le ritenute fiscali, a loro volta erronee per eccesso.
La ripetizione dell'indebito nei confronti del lavoratore non può non avere ad oggetto, pertanto, che le somme da quest'ultimo "percepite", ossia quanto e solo quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale del predetto.
Il datore di lavoro non può, invece, pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali), allorchè le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (in tali termini, cfr. anche Consiglio di Stato, sez. 6, 2.3.2009 n. 1164, con riguardo al rapporto tra amministrazione e dipendente).
Quanto, poi, alle ritenute e versamenti fiscali erroneamente disposti dall'amministrazione quale sostituto di imposta, l'amministrazione può provvedere alla richiesta di rimborso direttamente nei confronti del fisco, allorchè ne sussistano le condizioni (in termini, Cons. Stato, Comm. Spec, 5 febbraio 2001). Sussiste, pertanto, la denunziata erroneità dell'interpretazione delle norme di diritto, onde la sentenza va cassata in relazione all'accoglimento del menzionato motivo, senza rinvio (ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, ultimo periodo), in quanto la causa può essere decisa nel merito, sulla base dell'enunciata interpretazione delle norme censurate - senza che siano necessari all'uopo accertamenti di fatto - e, per l'effetto, va accolta la domanda dei ricorrenti e dichiarato il diritto della società intimata alla restituzione, da parte dei primi, delle somme effettivamente erogate, e non dovute, al netto delle ritenute IRPEF operate dal datore di lavoro.
Il regolamento delle spese operato nei gradi di merito può essere confermato in considerazione del limitato accoglimento del presente ricorso e della peculiarità della questione trattata, che giustifica la compensazione per l'intero anche delle spese del presente giudizio.
Come si vede, la posizione della Cassazione è netta. La restituzione va fatta al netto, ovvero nella misura in cui le somme sono effettivamente state corrisposte al lavoratore dal datore di lavoro.
Resta da fare qualche precisazione:
Se la restituzione avviene a seguito della firma di uno degli accordi sindacali, questa è regolata dalla transazione stipulata avanti alla associazione industriali o alla direzione provinciale del lavoro. In tal caso, si tratta di transazioni che sono in impugnabili e possono prevedere anche condizioni difformi dalla legge. In sintesi, in detta transazione la restituzione è prevista al lordo e vi è poco da fare.
In ogni caso, gli importi a titolo di Irpef che fossero stati o saranno restituiti a Poste possono essere recuperati dal lavoratore in due modi. O attraverso una richiesta di restituzione da parte della agenzia delle entrate (è il metodo più lungo, dati i tempi dei rimborsi), ovvero scalando il relativo importo quale credito di imposta in sede in dichiarazione dei redditi, sino a recupero totale. Se poi il lavoratore è tuttora dipendente (come accade di solito, nel caso di adesione agli accordi sindacali), il credito di imposta dovrebbe essere fatto valere messe per messe sulla busta paga (che quindi dovrebbe risultare maggiorata per via del recupero di imposta). Maggiori informazioni possono essere reperite presso uno qualunque dei CAF (centri di assistenza fiscale), gestiti dai maggiori sindacati nazionali, le cui consulenze sono gratuite perché finanziate dallo Stato.
I contributi restituiti a Poste possono essere recuperati (ora presso l’Inps, dove è confluito l’Ipost). Conviene chiederli con lettera raccomandata r.r.. E’ possibile anche fare un ricorso al Giudice del lavoro molto semplice e veloce. E’ sufficiente rivolgersi al legale che ha seguito la causa principale.
Milano, 21 febbraio 2012
Sergio Galleano