sabato 14 aprile 2012

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: Intepello n.11/2012 lavoro pubblico e impugnazione sanzioni disciplinari.

INTERPELLO N. 11/2012
Roma, 10 aprile 2012
Direzione generale per l’Attività Ispettiva
Prot. 37/0006869
Al NURSIND
Sindacato delle Professioni Infermieristiche
Oggetto: art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 – impugnazione sanzioni disciplinari – applicabilità art. 7,
commi 6 e 7; L. n. 300/1970 alle controversie relative al lavoro pubblico.
Il NURSIND – Sindacato delle Professioni Infermieristiche – ha avanzato istanza di interpello
per conoscere il parere di questa Direzione generale in merito alla impugnazione delle sanzioni
disciplinari. In particolare il NURSIND, “preso atto della circolare n. 28/2010 (…) avente ad
oggetto impugnazione sanzioni disciplinari – applicabilità art. 7, commi 6 e 7, L. n. 300/1970 alle
controversie relative al lavoro pubblico (…) chiede entro quale termine perentorio la sanzione
disciplinare di un pubblico dipendente può essere impugnata davanti l’ufficio provinciale del
lavoro stante l’inapplicabilità dell’art. 7 della L. n. 300/1970”.
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale delle Relazioni Industriali e dei
Rapporti di Lavoro, della Direzione generale per le Politiche del Personale, dell’Innovazione, del
Bilancio e della Logistica e della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della
Funzione Pubblica, si rappresenta quanto segue.
In via preliminare, occorre inquadrare la problematica sollevata alla luce delle modifiche
apportate dall’art. 72, comma 1, D.Lgs. n. 150/2009 (c.d. Riforma Brunetta) agli artt. 55 e 56 del
D.Lgs. n. 165/2001 (c.d. T.U. Pubblico impiego), con riferimento al quadro regolatorio concernente
le procedure conciliative precontenziose nonchè le impugnazioni delle sanzioni disciplinari.
Nello specifico, la novella legislativa ha operato in una duplice direzione: da un lato, ha
modificato l’art. 55, introducendo nell’ambito della suddetta materia, i nuovi artt. dal 55 bis al 55
sexies, dall’altro ha abrogato integralmente il successivo art. 56.
Ciò premesso, al fine di fornire la soluzione alla problematica sottesa al quesito, è necessario
muovere, in relazione alle procedure conciliative, dalla lettura dell’art. 55, comma 3 così come
modificato. 2
Tale disposizione stabilisce che “la contrattazione collettiva non può istituire procedure di
impugnazione dei provvedimenti disciplinari. Resta salva la facoltà di disciplinare mediante i
contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali è prevista
la sanzione disciplinare del licenziamento (…)”.
Per quanto concerne, invece, il procedimento di impugnazione delle sanzioni disciplinari,
l’abrogazione dell’art. 56, T.U. citato ha comportato per i dipendenti pubblici il divieto di ricorrere
al collegio di conciliazione, istituito presso la Direzione provinciale del lavoro, con le modalità
previste dall’art. 7, commi 6 e 7, L. n. 300/1970.
Occorre, tuttavia, sottolineare che la L. n. 183/2010 ha introdotto alcune modifiche in merito
alla disciplina della conciliazione ed arbitrato nelle controversie in materia di lavoro.
In proposito, si evidenzia che in virtù dell’abrogazione da parte dell’art. 31, comma 9, degli
artt. 65 e 66, D.Lgs. n. 165/2001, le procedure di conciliazione ed arbitrato di cui agli artt. 410 e
412 c.p.c. risultano esperibili altresì da parte dei dipendenti del settore pubblico in relazione alle
controversie di lavoro.
Il nuovo tentativo di conciliazione (facoltativo) avendo una disciplina di fonte legale non
subisce la preclusione di cui all’art. 55, comma 3, già citato e di conseguenza la portata generale
della disciplina ne consente l’applicabilità alle ipotesi di impugnazione delle sanzioni disciplinari
irrogate nei confronti dei pubblici dipendenti.
Appare, inoltre, necessario specificare con particolare riferimento all’art. 412 c.p.c., nella
parte in cui consente la risoluzione della lite in via arbitrale, che risulta compatibile con quanto
disposto dall’art. 73, comma 1, D.Lgs. n. 150/2009, ai sensi del quale le sanzioni disciplinari non
possono essere impugnate di fronte ai collegi arbitrali di disciplina. Quest’ultima preclusione,
infatti, attiene esclusivamente a questi particolari organismi arbitrali istituiti presso ciascuna
amministrazione.
In tale prospettiva, si ritiene che in virtù della successiva regolamentazione della materia ad
opera del c.d. Collegato lavoro, anche le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione delle
sanzioni disciplinari possono essere trattate dalle nuove commissioni di conciliazione che, per
effetto del mutamento di procedura, potrebbero successivamente proseguire nella trattazione
del contenzioso nella veste di collegio arbitrale.
Si rappresenta, da ultimo, che per quanto attiene al disposto di cui all’art. 412 ter concernente
una tipologia di arbitrato irrituale, ossia l’arbitrato sindacale, la cui procedura è rimessa alla
contrattazione collettiva, vige la preclusione relativa alla fonte di carattere convenzionale, pertanto
le sanzioni disciplinari non potranno essere impugnate mediante questo strumento. 3
Ciò non vale, invece, riguardo al successivo art. 412 quater, in quanto a differenza del
precedente, è congegnato in virtù di una disciplina di fonte legale.
Alla luce della legislazione attualmente vigente ed in risposta al quesito sollevato, si ritiene
dunque che le sanzioni disciplinari irrogate nei confronti dei pubblici dipendenti possano essere
impugnate sia attraverso l’esperimento del tentativo facoltativo di conciliazione di cui agli
artt. 410 e 411 c.p.c., nonché mediante le procedure arbitrali ex artt. 412 e 412 quater, ferma
restando comunque l’esperibilità dell’azione giudiziaria negli ordinari termini prescrizionali.
IL DIRETTORE GENERALE
(f.to Paolo Pennesi)
DP
ADB/MT

venerdì 13 aprile 2012

Interrogazione al Senato sulla società SDA Express Courier (Gruppo Poste Italiane) e i contratti dei 4000 addetti alla consegne/ritiri dei pacchi e plichi

Atto Senato

Interrogazione a risposta orale 3-02791
presentata da
RAFFAELE RANUCCI
mercoledì 11 aprile 2012, seduta n.706
RANUCCI, FILIPPI Marco - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali - Premesso che:

SDA Express Courier è un corriere espresso specializzato per le consegne in Italia; dal 1998, fa parte del gruppo Poste italiane ed è il partner unico per la gestione logistica, distributiva, l'e-commerce e per la vendita a distanza; ha una forza lavoro di circa 3.000 unità, tra dipendenti e collaboratori, e 4.000 addetti alla distribuzione che collegano l'Italia quotidianamente;

la FILT-CGIL Roma-Lazio ha richiesto e ottenuto, dalla Direzione provinciale del lavoro, una verifica ispettiva, tuttora in corso, presso la SDA Express Courier SpA, per il persistere di gravi mancanze nelle applicazioni delle previsioni contrattuali nei confronti dei lavoratori che vengono utilizzati come addetti alle consegne/ritiri pacchi e plichi; tali lavoratori sono quasi sempre lavoratori in appalto, formalmente dipendenti o soci di società/cooperative, spesso fittizie, ai quali vengono imposte tariffe assurde ed inspiegabili a causa delle quali gli stessi lavoratori si trovano a loro volta costretti a non poter rispettare le norme di legge che regolano il settore;

il segretario regionale della FILT-CGIL Roma-Lazio ha ricevuto il 30 marzo 2012 dalla Direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, una comunicazione dalla quale si evince che, nella prima parte della verifica ispettiva, su 252 lavoratori intervistati, al momento dell'accesso, 37 risultavano in nero;

il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo ha già presentato in data 17 novembre 2011 l'interrogazione 4-06282 ancora in corso e quindi in attesa di risposta con il quale si chiedeva ai Ministri competenti quali iniziative intendevano adottare per verificare e porre fine alla deplorevole questione che vedeva negati e calpestati i diritti dei lavoratori coinvolti presso la SDA Express Courier SpA;

nel codice etico di Poste italiane si legge: "Poste Italiane, consapevole che l'etica nei comportamenti costituisce valore e condizione di successo, e che principi quali l'onestà, l'integrità morale, la trasparenza, l'affidabilità e il senso di responsabilità rappresentano la base fondamentale di tutte le attività che caratterizzano la sua mission, definisce (...) le linee guida a cui devono essere improntati i comportamenti nelle relazioni interne" e nei rapporti con l'esterno;

Poste italiane, inoltre, ha adottato il modello organizzativo previsto dal decreto legislativo n. 231 del 2001 che ha introdotto una nuova e aggiuntiva responsabilità degli enti per alcuni reati commessi materialmente da amministratori, rappresentanti o dipendenti nell'interesse o a vantaggio dell'ente medesimo;

considerato che, alla luce di quanto sopra, risulta bizzarro, a giudizio degli interroganti, che il gruppo Poste italiane abbia siglato e dato ampio rilievo pubblicitario all'accordo con l'Istituto nazionale per la previdenza sociale (Inps) relativo all'acquisto ed alla riscossione dei buoni lavoro presso gli uffici postali, da dove si evince, tra l'altro, l'impegno al contrasto del lavoro nero,

si chiede di sapere quali urgenti iniziative di competenza il Ministro in indirizzo intenda adottare al fine di fare chiarezza sulla vicenda deplorevole riguardante l'azienda SDA Express Courier SpA che vede la negazione dei diritti basilari dei lavoratori, oltre all'ipotesi di gravi reati tra cui evasione fiscale e contributiva.

(3-02791)

domenica 8 aprile 2012

Esodati delle Poste in trappola «Siamo in migliaia nei guai, ad aiutarci solo due impiegate»

Esodati delle Poste in trappola
«Siamo in migliaia nei guai,
ad aiutarci solo due impiegate»
dall’inviato

Lorenzo Sani
Brescia
SE NON CI FOSSE di mezzo il destino di almeno 5.500 persone, la metà delle quali forse ‘salva’, ma l’altra metà sicuramente sospesa in un limbo che non esiste più nemmeno per la Chiesa cattolica, la storia degli ‘esodati’ delle Poste Italiane avrebbe aspetti grotteschi. Perfino comici, ...

dall’inviato

Lorenzo Sani
Brescia
SE NON CI FOSSE di mezzo il destino di almeno 5.500 persone, la metà delle quali forse ‘salva’, ma l’altra metà sicuramente sospesa in un limbo che non esiste più nemmeno per la Chiesa cattolica, la storia degli ‘esodati’ delle Poste Italiane avrebbe aspetti grotteschi. Perfino comici, se osservati con un pizzico di perfidia, o di cinismo.

PRIMA ancora della svolta sulle pensioni di anzianità decretata dal ministro Fornero, il sipario sulla tragicommedia si è alzato nel 2010 col decreto n.78, convertito nella legge 122, che ha sancito la confluenza di tutte le competenze dell’Ipost (l’ente previdenziale dei postali) nell’Inps. Prima toppata: i tempi di attuazione sono stati elegantemente sforati, altro che i 60 giorni previsti dalla legge.

«L’IPOST aveva 130 dipendenti, ora ne ha 24 per tutti i servizi: destinati alla nostra questione ce ne sono solo 8. Questo sparuto drappello di temerari dovrebbe lavorare tutta la parte degli arretrati e quella degli ‘esodati’ che sono vicini alla pensione, perché incentivati nei due anni precedenti» dice con un filo di amarezza Beppe Zani, 54 anni, ex operaio metalmeccanico, postino a Brescia dal 1988. Zani si è recato fisicamente «nell’unico sportello Ipost per tutta Italia, a Roma, in via Beethoven 11, zona Eur, aperto lunedì mattina dalle 9 alle 12 e il giovedì dalle 9 alle 12 e nel pomeriggio dalle 15 alle 17. Una giornata e mezzo per tutta Italia, ripeto. Fisicamente lo sportello è lì, ma dove lavorano le pratiche è in un altro palazzo: quindi se c’è bisogno di controllare un documento, non è possibile e hai fatto bel un viaggio a vuoto. Pensa a chi viene dalla Sardegna o la Val d’Aosta... Le due impiegate sono sommerse di lavoro: 3.500 domande di contributi volontari non riescono a essere evase, più una cifra innumerevole di solleciti su queste stesse domande. Sono sepolte dalle carte e per questa ragione, dicono, non rispondono a mail e numero verde».

DA COSA deriva il caos che si è venuto a creare? Semplice, purtroppo. Drammaticamente semplice. «Il sistema informatico di Ipost non è compatibile con quello dell’Inps» con la conseguenza paradossale che all’Inps ci sono i soldi versati dai lavoratori, ma l’istituto non riesce a vederli e non li riconosce, spiega Mara Polato, 39 anni di contributi, quadro addetto al controllo di qualità, esodata come Zani, dopo la firma sull’accordo, «anche se sarebbe più giusto parlare di licenziamento, per via di quell’articolo 8 che abbiamo sottoscritto tutti, spinti dal miraggio del prepensionamento», rammenta il postino Antonio Geria, in Poste dal 1979.
Cosa dice in famigerato articolo 8? Dice che il dipendente dichiara ‘di manlevare la Società da qualsiasi onere o responsabilità derivante da eventuali future modifiche della normativa pensionistica e fiscale derivanti dalla legge’. «Col senno di poi, ci siamo tirati la zappa sui piedi». Esattamente quello. E che zappa.

COME FACCIA il Governo a non sapere quanti siano i lavoratori esodati, che hanno visto improvvisamente ribaltare programmi e prospettive future è un altro mistero di questa storia all’italiana. Gianpaolo Moroni, postino per anni nella Bergamasca, ci mostra la copia dell’accordo ratificato con la Direzione provinciale del Lavoro. L’intestazione recita: ministero del Lavoro. «Si sa perfettamente quanti siamo, sono tutti dati in possesso del ministero. Come fanno a dire che non sanno quanti siamo?».

IN QUESTO clima di caos e disperazione, denuncia Giovanni Punzi, leader bresciano dei postali Cisl, «mentre il Governo sta cercando di porre rimedio al danno obbiettivo che si è creato, coinvolgendo anche l’azienda, la stessa azienda sta continuando a chiamare colleghi per incentivarli all’esodo volontario. E non chiama più solo quelli a cui manca un anno o due, ma addirittura ci sta provando anche con quelli a cui ne mancano quattro».

giovedì 5 aprile 2012

Iniziativa sindacale FILP con Interrogazione al Senato per chiedere al Governo una urgente provvedimento al fine di garantire la corretta applicazione della legge 7 agosto 1990 n.241 sulla trasparenza amministrativa da parte di Poste Italiane spa e garantire a tutti i dipendenti ed ex dipendenti di presentare eventuali richieste di accesso agli atti e consentendo loro di ricevere la documentazione richiesta, senza fare ricorso al Tribunale Amministrativo e al Consiglio di Stato

Atto Senato

Interrogazione n° 3-02776
presentata da
ELIO LANNUTTI
martedì 3 aprile 2012, seduta n.704
LANNUTTI - Ai Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze - Premesso che:

con decreto del Ministero delle comunicazioni del 24 agosto 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 211 dell'8 settembre 1999, è stato fatto l'atto di determinazione dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti della società per azioni Poste italiane, come previsto dall'art. 24 della legge n. 241 del 1990 per tutte le amministrazioni pubbliche, i concessionari e i gestori di pubblico servizio e con verbale n. 5 del 1999 il Consiglio di amministrazione delle Poste italiane ha adottato il regolamento di attuazione dell'art. 24, comma 2, della legge n. 241 del 1990 e sono state sottratte al diritto di accesso, come deliberato all'art. 3 del suddetto verbale, le seguenti categorie di documenti formati da Poste italiane SpA: a) documenti ispettivi riguardanti provvedimenti disciplinari e giurisdizionali in corso; b) giudizi diagnostici riguardanti i dipendenti; c) documenti relativi all'iscrizione ed alle contribuzioni dei singoli dipendenti alle organizzazioni sindacali;

negli ultimi dieci anni Poste italiane è stata richiamata e condannata dai giudici amministrativi a rispettare l'applicazione della legge n. 241 del 1990 sulla trasparenza amministrativa con la copiosa e conforme giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sezione VI, 110/2012; Consiglio di Stato, Sezione VI, 25 gennaio 2010, n. 252; Consiglio di Stato, Sezione VI, 26 gennaio 2006, n. 229; Consiglio di Stato, Sezione VI, 30 dicembre 2005, n. 7624; Consiglio di Stato, Sezione VI, 7 agosto 2002, n. 4152; Consiglio di Stato, Sezione VI, 12 febbraio 2001, n. 654; TAR Brescia, 692/2000, 1473/2004, 159/2005, 556/2008, 290/2008, 328/2008; TAR Milano, 2647/2010; TAR Lazio 16 dicembre 2011, n. 7098); sentenza n. 2752 Reg. Ric. 993/2012 del 23 marzo 2012 del TAR Lazio Sezione III;

i dipendenti di Poste, anche cessata l'attività, possono accedere agli atti di organizzazione interna della società. Così ha stabilito il Consiglio di Stato, Sezione VI, nella sentenza del 2 ottobre 2009, n. 5987. Con questa decisione viene ripreso il tema dell'applicazione soggettiva del diritto di accesso, ai sensi dell'articolo 23 della legge n. 241 del 1990, modificato con la legge n. 15 del 2005, che definisce l'ambito dei soggetti nei cui confronti è esercitabile tale diritto, ricomprendendovi non solo tutte le pubbliche amministrazioni, ma altresì le aziende autonome e speciali, nonché gli enti pubblici e i gestori di pubblico servizio; proprio per questi ultimi si è già espresso il Consiglio di Stato per l'applicabilità del diritto di accesso, ai sensi dell'art. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990, con decisione in adunanza plenaria n. 4 e 5 del 1999 che hanno ricomposto la questione stabilendo che l'imprenditore privato, quando svolge, in base a tale titolo, un pubblico servizio, poiché è tenuto a soddisfare gli interessi pubblici, rispettando l'art. 97 della Costituzione, è assoggettato al diritto di accesso di cui alla legge n. 241 del 1990;

in data 23 giugno 2011 il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, con sentenza di esecuzione n. 681 del 2011, ha condannato Poste italiane al pagamento delle spese processuali ed ha nominato per l'ottemperanza il commissario ad acta nella persona del Prefetto di Torino o altra persona da questi delegata per l'esecuzione della sentenza del TAR Piemonte n. 655 del 2009, depositata il 6 marzo 2009, ritualmente notificata l'8 luglio 2009 e confermata dal Consiglio di Stato in data 25 gennaio 2010 con sentenza n. 252 del 2010, notificata a Poste italiane SpA in data 24 maggio 2010, per il rilascio al dipendente/ricorrente della documentazione riguardante le promozioni relative al progetto "Leadership" della Unità produttiva di Torino CMP (Centro di meccanizzazione postale) e la pianta organica della Unità produttiva di Torino CMP dopo il progetto "Leadership"; nonostante l'ordine già impartito dal TAR del Piemonte e dal Consiglio di Stato, a tutt'oggi, la società Poste non ha ottemperato all'esibizione dei documenti richiesti dal dipendente e indicati nella sentenza n. 655 del 2009, di fatto frustrando il diritto alla tutela giurisdizionale del dipendente/ricorrente; il 23 febbraio 2012 si è insediato il commissario ad acta nella persona del Viceprefetto di Torino, dottor Maurizio Gatto;

il Segretario generale dell'organizzazione sindacale FILP/Confederazione dei lavoratori, Giuseppe Giordano, ha chiesto ufficialmente alla Direzione generale per la regolamentazione del settore postale - Divisione Vigilanza e controllo del Ministero dello sviluppo economico e al Dipartimento per il coordinamento amministrativo - Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di vigilare e controllare Poste italiane sul comportamento discutibile della società che non intende adeguarsi alla legge sulla trasparenza amministrativa, in particolare all'art. 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990;

sebbene Poste italiane abbia adottato il suindicato regolamento ai sensi della legge sulla trasparenza, la medesima società nei fatti non intende adeguarsi a quanto sancito dalla medesima legge ed indicato in premessa, facendo riferimento a risorse pubbliche nel contenzioso amministrativo giurisdizionale e civile; ne emerge, quindi, un comportamento discutibile in capo a Poste italiane SpA che, nei fatti, si rifiuta di ottemperare alle sentenze dei tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato,

si chiede di sapere quali urgenti iniziative intenda assumere il Governo al fine di garantire la corretta applicazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, da parte di Poste italiane SpA e, di conseguenza, attribuire il diritto, a tutti i dipendenti ed ex dipendenti di Poste, di presentare eventuali richieste di accesso agli atti, nei modi e nelle forme stabilite dalla legge sulla trasparenza amministrativa, consentendo loro di ricevere la documentazione richiesta, senza dover fare ricorso al tribunale amministrativo e al Consiglio di Stato.

(3-02776)