SENTENZA N. 231
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco
GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario
Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 19, primo comma, lettera
b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promossi dal Tribunale ordinario di
Modena con ordinanza del 4 giugno 2012, dal Tribunale ordinario di Vercelli con
ordinanza del 25 settembre 2012 e dal Tribunale ordinario di Torino con
ordinanza del 12 dicembre 2012, rispettivamente iscritte ai nn. 202 e 287 del
registro ordinanze 2012 e al n. 46 del registro ordinanze 2013, pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 40 e 51, prima serie speciale,
dell’anno 2012 e n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti
gli atti di costituzione della FIOM - Federazione Impiegati Operai
Metalmeccanici - Federazioni Provinciali di Modena, di Vercelli e Valsesia e di
Torino, della Case New Holland Italia s.p.a., della Maserati s.p.a., della
Ferrari s.p.a., della Fiat Group Automobiles s.p.a., e della Abarth & C.
s.p.a. ed altri, nonché gli atti di intervento della CGIL - Confederazione
Generale Italiana del Lavoro, Filcams-CGIL Federazione Italiana Lavoratori
Commercio, Alberghi, Mense e Servizi e Filcams-CGIL di Milano e Provincia,
della FNSI - Federazione nazionale della stampa italiana, della Unione
Industriale della Provincia di Torino e del Presidente del Consiglio dei
ministri (fuori termine nel giudizio iscritto al r.o. n. 287 del 2012);
udito
nell’udienza pubblica del 2 luglio 2013 il Giudice relatore Mario Rosario
Morelli;
uditi
gli avvocati Franco Scarpelli e Amos Andreoni per la CGIL -Confederazione
Generale Italiana del Lavoro, per la Filcams-Cgil - Federazione Italiana
Lavoratori Commercio, Alberghi, Mense e Servizi, e per Filcams-CGIL di Milano e
Provincia, Bruno Del Vecchio per la FNSI - Federazione nazionale della stampa
italiana, Paolo Tosi per l’Unione Industriale della Provincia di Torino,
Vittorio Angiolini, Piergiovanni Alleva e Franco Focareta per la FIOM -
Federazione Impiegati Operai Metalmeccanici - Federazioni Provinciali di
Modena, di Vercelli e Valsesia e di Torino, Roberto Nania, Raffaele De Luca
Tamajo e Diego Dirutigliano per Case New Holland Italia s.p.a., Maserati s.p.a.
e Ferrari s.p.a., per Fiat Group Automobiles s.p.a. e per Abarth & C.
Italia s.p.a. ed altri e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.–
Nel corso di più giudizi civili riuniti, promossi ai sensi art. 28 della legge
20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei
lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di
lavoro e norme sul collocamento), di seguito anche Statuto dei lavoratori, nei
confronti di società del Gruppo FIAT (Case New Holland Italia s.p.a., Maserati
s.p.a. e Ferrari s.p.a.), su ricorso della FIOM (Federazione impiegati operai
metalmeccanici) della Provincia di Modena – alla quale le resistenti avevano
disconosciuto il diritto a costituire rappresentanze sindacali aziendali (e,
conseguentemente, ad avvalersi delle prerogative di cui al Titolo III del
predetto Statuto), in ragione della mancata sottoscrizione del contratto
collettivo, applicato nelle rispettive unità produttive, da parte di essa
ricorrente, che pure aveva attivamente partecipato alla correlativa
negoziazione – l’adito Tribunale ordinario di Modena, dopo aver rilevato in
premessa che i diritti in contestazione risultavano effettivamente riservati
alle sole organizzazioni “firmatarie” dei contratti in questione, per testuale
dettato dell’articolo 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei
lavoratori, a suo avviso non suscettibile di interpretazione adeguatrice in
senso estensivo, ha ritenuto, per ciò, rilevante e, in riferimento agli artt.
2, 3 e 39 Cost., non manifestamente infondata, ed ha quindi sollevato, con
l’ordinanza in epigrafe (r.o. n. 202 del 2012), questione di legittimità
costituzionale del predetto articolo 19.
Secondo
il rimettente, il criterio selettivo ivi dettato – nella parte, appunto, in cui
legittima l’esclusione dal godimento dei diritti in azienda di un sindacato,
pur effettivamente rappresentativo, per il solo fatto che non abbia
sottoscritto il contratto applicato in quella unità produttiva – si porrebbe,
infatti, in contrasto con gli evocati parametri costituzionali:
–
per l’irragionevolezza «nell’attuale condizione di rottura dell’unità
sindacale» di una soluzione imperniata «sul dato formale della sottoscrizione
del contratto applicato e sganciato da qualsiasi raccordo con la misura del
consenso dei rappresentati»;
–
per la negativa incidenza sulla decisione dell’associazione sindacale in ordine
alla sottoscrizione del contratto collettivo, che ne risulta «condizionata non
solo dalla finalità di tutela degli interessi dei lavoratori, secondo la
funzione regolativa propria della contrattazione collettiva, bensì anche dalla
prospettiva di ottenere (firmando) o perdere (non firmando) i diritti del
Titolo III»;
–
per la irragionevole difformità di trattamento, che ne consegue, «tra
associazioni sindacali dotate tutte di pari capacità rappresentativa, e tutte
partecipanti nella stessa misura alle trattative volte alla stipula del
contratto collettivo, e che tuttavia non godono all’interno dell’azienda delle
stesse prerogative a tutela degli interessi dei lavoratori da esse rappresentati
solo in ragione del dissenso espresso avverso la stipula di contratti
aziendali».
1.1.–
Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la FIOM-Federazione provinciale
di Modena, sostenendo l’ammissibilità e la fondatezza nel merito della proposta
questione, facendo proprie le argomentazioni addotte dal rimettente ed
affermando, in particolare, che per rappresentare efficacemente i lavoratori, e
proprio per volerne essere rappresentativo, il sindacato non deve solo firmare,
ma talora astenersi dal sottoscrivere il contratto collettivo. Storicamente –
aggiunge la FIOM – «ormai la contrattazione collettiva ha perso il carattere
acquisitivo che ha avuto per molto tempo. Oggi, non solo negli accordi
gestionali delle situazioni di crisi, ma anche nei rinnovi nazionali la stessa
contrattazione collettiva ha sovente un prevalente contenuto ablativo, e la
forza del sindacato si manifesta non tanto nella capacità di acquisire nuovi
diritti ad ogni tornata contrattuale, come è avvenuto per tanto tempo, quanto
nella capacità di resistere alle sempre più pressanti ed estese richieste di
flessibilità avanzate dalle imprese».
1.2.–
Si sono costituite anche Case New Holland Italia s.p.a., Maserati s.p.a. e
Ferrari s.p.a., eccependo preliminarmente l’inammissibilità della proposta
questione, sia sotto il profilo della riproposizione di questione identica a
quella già decisa da questa Corte con la sentenza n. 244 del 1996, sia riguardo
al profilo della «perplessità» e «indecifrabilità» della motivazione dell’ordinanza
di rimessione; ed aggiungendo che, ove si tratti di richiesta demolitoria, la
questione in oggetto sarebbe comunque inammissibile per difetto di rilevanza; e
che «qualora poi il petitum sia di carattere additivo, l’ordinanza omette di
indicare in maniera sufficientemente circostanziata il verso della pretesa
addizione, ossia il contenuto normativo che sarebbe necessario aggiungere alla
disposizione indubbiata».
Nel
merito, le società costituite ne deducono, «in via del tutto subordinata»,
l’infondatezza, sia in relazione al prospettato vizio di ragionevolezza, sia in
relazione al cosidetto cambiamento di scenario sindacale, in quanto «il dato
costituzionale e quello giurisprudenziale convergono nel senso che la capacità
rappresentativa del sindacato ai fini dell’attivazione della normativa di
sostegno non è un fattore esclusivamente aprioristico, bensì una qualità che
trova la sua compiuta realizzazione nella vicenda contrattuale. Ciò vuol dire
che ai fini dell’utilizzo delle misure di sostegno in azienda non è sufficiente
l’astratta testimonianza degli interessi dei lavoratori iscritti, ma anche
l’assunzione di una concreta responsabilità contrattuale».
1.3.–
È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il
patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, eccependo preliminarmente la
irrilevanza, e, quindi, la inammissibilità della questione, atteso che
l’eventuale declaratoria di illegittimità dell’art. 19, primo comma, lettera
b), dello Statuto dei lavoratori determinerebbe il venir meno del criterio
della sottoscrizione dei contratti quale criterio selettivo per l’accesso ai
diritti di cui al Titolo III dello Statuto ma, in assenza di un diverso
criterio selettivo, non darebbe titolo all’associazione sindacale ricorrente di
godere di quei diritti.
Nel
merito, l’Autorità intervenuta ritiene infondata la questione.
Sostiene
che «la previsione di particolari requisiti di rappresentatività ai fini del
riconoscimento dei diritti sindacali di cui al Titolo III dello Statuto dei
lavoratori, contenuta nelle lettere a) e b) del primo comma dell’art. 19, nella
sua formulazione originaria, trovava la propria ratio nell’esigenza di
selezionare – attraverso puntuali indici normativi – un sindacato che, per il
fatto di essere più rappresentativo di un altro, risultava meritevole di una
speciale tutela e, conseguentemente, risultava maggiormente titolato a vedersi
riconoscere le prerogative di cui allo Statuto dei lavoratori. Come già
evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 492 del 4 dicembre
1995, tale esigenza permane anche dopo il referendum abrogativo e la finalità
della norma nella sua nuova formulazione rimane quella di garantire la suddetta
selezione da operarsi sulla base dell’unico parametro della sottoscrizione di
contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva. Tale parametro
consente di valorizzare l’effettività dell’azione sindacale, desumibile dalla
partecipazione alla formazione della disciplina contrattuale collettiva quale
indicatore di maggiore rappresentatività direttamente conseguibile da ogni
organizzazione sindacale in base ai propri atti concreti ed oggettivamente
verificabili.».
1.4.–
Hanno depositato memoria ad adiuvandum la CGIL, la Filcams-Cgil e le
Filcams-Cgil di Milano e Provincia, argomentando la legittimità del proprio
intervento e sostenendo la fondatezza dei proposti rilievi di costituzionalità.
1.5.–
Con successiva memoria, la Case New Holland Italia s.p.a., la Maserati s.p.a. e
la Ferrari s.p.a. hanno eccepito l’inammissibilità degli interventi ad
adiuvandum di CGIL e Filcams, e ribadito, altresì, le eccezioni di
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal
Tribunale ordinario di Modena; ulteriormente, infine, argomentandone la
ritenuta infondatezza in relazione a ciascuno dei parametri evocati.
1.6.–
Anche la FIOM di Modena ha depositato memoria, congiuntamente, per altro, alla
FIOM di Vercelli ed a quella di Torino e relativa, quindi, anche ai giudizi di
cui alle successive ordinanze dei Tribunale di Vercelli e di Torino.
In
detto atto, le tre costituite Federazioni sottolineano, tra l’altro, come
l’assetto imposto per la contrattazione collettiva dall’art. 8 del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,
dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 – nel dare sostegno ad una contrattazione
“separata”, per ciascuna singola azienda – aggravi i vizi di incostituzionalità
denunciati dai rimettenti.
1.7.–
Ulteriore memoria è stata depositata dalla CGIL e da Filcams nazionale e
Filcams di Milano e provincia, per ribadire il rispettivo interesse al proprio
intervento ad adiuvandum anche in ragione dei numerosi segnalati casi di
organizzazioni, ad esse aderenti, che, pur essendo maggioritarie in azienda per
numero di aderenti, vengono escluse dalla titolarità dei diritti sindacali sol
perché non firmatarie dei contratti ivi applicati.
Con
riguardo al recentissimo Accordo interconfederale del 31 maggio 2013 – che ha posto
alla base, sia della titolarità dei diritti sindacali, sia dell’obbligo a
trattare, la regola della democrazia bilanciando il criterio associativo con
quello elettivo, esattamente al pari di quanto già realizzato da tempo nel
settore pubblico (artt. 42 e 43 del d.lgs. n. 165 del 2001) – gli intervenienti
hanno poi sottolineato come esso sia «tuttavia limitato al solo ordinamento
intersindacale facente capo a CGIL-CISL-UIL-Confindustria, con (momentanea?)
esclusione del terziario e degli altri settori (bancari, assicurativi, ecc.) e
soprattutto con la conferma della inefficacia di tale Accordo nei confronti
delle imprese dissenzienti non associate alla Confindustria come la FIAT».
2.–
Ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, lettera
b), della legge n. 300 del 1970 anche il Tribunale ordinario di Vercelli
(ordinanza r.o. n. 287 del 2012), ravvisando il vulnus, ad opera della norma
censurata, agli artt. 2, 3 e 39 Cost., con motivazioni sostanzialmente analoghe
e, in parte, testualmente riproduttive di quelle svolte nella ordinanza del
Tribunale ordinario di Modena, cui ha fatto adesivamente rinvio.
2.1.–
Si è costituita nel relativo giudizio la Fiat Group Automobiles s.p.a.
svolgendo le medesime argomentazioni di cui agli atti di costituzione delle
società convenute nel giudizio dinanzi al Tribunale ordinario di Modena, sia
con riferimento all’inammissibilità sia con riferimento all’infondatezza della
questione in esame.
2.2.–
Si è costituita anche la FIOM – Federazione provinciale di Vercelli e Valsesia,
anch’essa facendo proprie le motivazioni del rimettente, in particolare
mettendo in rilievo che il riservare il diritto alla rappresentanza aziendale
dei lavoratori ai soli sindacati firmatari di contratti collettivi applicabili
all’unità produttiva «può divenire un premio o un privilegio distribuito o
negato a misura del solo interesse e degli scopi datoriali, e dunque privo di
ogni ragionevole giustificazione di tutela collettiva, piuttosto che essere,
come dovrebbe anche secondo lo spirito originario e la lettura sistematica
dell’art. 19 entro la trama della l. n. 300 del 1970 data dalla giurisprudenza
costituzionale, una funzione rappresentativa, la quale giovi ai lavoratori
rappresentati».
2.3.–
È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, svolgendo
le medesime argomentazioni di cui all’atto di intervento nel giudizio promosso
dal Tribunale ordinario di Modena.
2.4.–
Ha depositato «atto di intervento e deduzioni» la FNSI (Federazione nazionale
della stampa italiana), che, dopo aver premesso di essere l’unico organismo
nazionale rappresentativo dei giornalisti in Italia, con conseguente
legittimità del suo intervento ad adiuvandum, ha fatto proprie le
considerazioni del giudice rimettente.
2.5.–
Con memoria depositata il 10 giugno 2013, FIAT Group s.p.a., premessa la
inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum della FNSI, ha ulteriormente e
diffusamente argomentato, in subordine alla eccepita inammissibilità delle
questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Vercelli, la non fondatezza
delle stesse.
Nella
prospettiva della norma di riferimento – ha, tra l’altro, sostenuto – «non è
sufficiente il consenso come tale (peraltro scollegato dallo specifico processo
negoziale, perché dedotto da indici storici e presuntivi); è anche
indispensabile, beninteso al fine dell’accesso alle misure di sostegno, che il
consenso venga bensì utilizzato per sollecitare le soluzioni contrattuali le
più favorevoli possibili agli interessi dei quali si è portatori, ma senza sottrarsi
alla dialettica con le altre parti ed al naturale esito compositivo cui è
destinata a mettere capo. Allo stesso modo non può essere sufficiente la mera
partecipazione alle trattative che non si saldi con un concreto ed effettivo
risultato contrattuale».
2.6.–
Anche la FIOM Vercelli ha depositato memoria, svolgendo argomentazioni analoghe
a quelle svolte con riguardo al procedimento originato dalla ordinanza r.o. n.
202 del 2012.
3.–
A sua volta, il Tribunale ordinario di Torino, con l’ordinanza di rimessione in
data 12 dicembre 2012 (r.o. n. 46 del 2013), emessa, nel corso di più giudizi
riuniti, tra la FIOM di Torino e varie società del Gruppo FIAT (Abarth & C.
s.p.a. ed altre tredici), ha sollevato analoghe questioni di legittimità
costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 39 Cost., dell’art. 19, primo
comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui limita la
costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali alle sole associazioni
firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva.
Rileva
anche detto giudice l’anacronismo del disposto in esame, sulla base sia del
mutato contesto delle relazioni sindacali che dell’evoluzione del quadro
normativo.
3.1.–
Si è costituita la FIOM – Federazione provinciale di Torino, con argomentazioni
adesive alla prospettazione del giudice a quo.
3.2.–
Anche la Abarth & C. s.p.a. e le altre società convenute nel giudizio a quo
si sono costituite, svolgendo, in punto di inammissibilità e con riferimento al
merito, le medesime argomentazioni formulate dalle società resistenti nel
giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Modena.
3.3.–
È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, reiterando le eccezioni
di inammissibilità e di infondatezza della questione già formulate in relazione
alle precedenti ordinanze di rinvio.
3.4.–
Ha depositato altresì «atto di intervento» l’Unione industriale della Provincia
di Torino che, previamente motivato il proprio interesse alla soluzione della
questione sollevata dal Tribunale di Torino, ne ha eccepito la inammissibilità
e, in subordine, la non fondatezza, con prospettazione adesiva a quella delle
società convenute nel giudizio a quo.
3.5.–
In prossimità dell’udienza, hanno depositato memoria, oltre alla FIOM di
Torino, che ha ribadito le argomentazioni svolte nel precedente giudizio, anche
la Abarth & C. s.p.a. e le altre società costituite, anche in questo caso
per ulteriormente illustrare le proprie già formulate eccezioni di
inammissibilità e di non fondatezza della questione.
3.6.–
Altra memoria è stata depositata dalla Unione industriale della Provincia di
Torino. La quale ha, a sua volta, ribadito il proprio interesse rispetto alla
sollevata questione di costituzionalità.
1.–
Il Tribunale ordinario di Modena ha sollevato, in riferimento agli articoli 2,
3 e 39 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300
(Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), nel testo risultante dall’abrogazione parziale disposta – in
esito al referendum indetto con decreto del Presidente della Repubblica 5
aprile 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 85 dell’11 aprile 1995 –
dal d.P.R. 28 luglio 1995, n. 312 (Abrogazione, a seguito di referendum
popolare, della lettera a e parzialmente della lettera b dell’art. 19, primo
comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, sulla costituzione delle
rappresentanze sindacali aziendali, nonché differimento dell’entrata in vigore
dell’abrogazione medesima), nella parte in cui consente la costituzione di
rappresentanze aziendali alle sole «associazioni sindacali che siano firmatarie
di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva», e non anche a quelle
che abbiano comunque partecipato alla relativa negoziazione, pur non avendoli
poi, per propria scelta, sottoscritti.
1.1.–
La rilevanza della questione è motivata dal rimettente in ragione del fatto
che, nei giudizi (riuniti) innanzi a lui pendenti, il sindacato ricorrente
(FIOM) aveva denunciato il comportamento antisindacale delle controparti
imprenditoriali (varie società del gruppo FIAT), le quali avevano disconosciuto
la sua legittimazione a costituire rappresentanze sindacali, nelle rispettive
unità produttive, in conseguenza, appunto, della mancata sottoscrizione del
contratto collettivo, ivi applicato, da parte di esso sindacato, che pure aveva
attivamente partecipato alle trattative che ne avevano preceduto la
conclusione.
1.2.–
In punto di non manifesta infondatezza del così proposto quesito, il Tribunale
a quo, muovendo dalla considerazione che la partecipazione al negoziato è un
dato che evidenzia l’effettiva forza contrattuale e, di riflesso, la capacità
rappresentativa del sindacato, ne inferisce la «intrinseca irragionevolezza»
del criterio selettivo della sottoscrizione del contratto, espresso dalla
disposizione denunciata, «nel [l’attuale] momento in cui, applicato a
fattispecie concrete, porta ad un risultato che contraddice il presupposto a
dimostrazione del quale il criterio stesso era stato elaborato». Risultato cui,
appunto, si perverrebbe nei processi a quibus, nei quali, alla luce di quel
criterio, «dovrebbe riconoscersi maggior forza rappresentativa alle
associazioni firmatarie del contratto […], anziché alla FIOM [che non lo ha
sottoscritto], laddove in fatto è incontestato il contrario».
1.3.–
La soluzione di una lettura estensiva della espressione “associazioni
firmatarie”, nel senso della sua riferibilità anche ad organizzazioni che
abbiano comunque partecipato al processo contrattuale – cui, in analoghe
controversie, altri giudici di merito sono pervenuti, in funzione di una
“interpretazione adeguatrice” al dettato costituzionale della disposizione in
esame – non è, preliminarmente, ritenuta condivisibile dal Tribunale
rimettente, per l’univocità del dato testuale che inevitabilmente vi si
opporrebbe.
Da
qui la conclusione che la reductio ad legitimitatem della norma denunciata, in
quella delineata direzione estensiva, non possa altrimenti avvenire che
attraverso un intervento (evidentemente additivo) di questa Corte.
1.4.–
Non ignora, peraltro, il rimettente la sentenza n. 244 del 1996, e la ordinanza
n. 345 del 1996, di questa Corte, che hanno, rispettivamente, escluso la
fondatezza, e dichiarato poi la manifesta infondatezza, di identiche questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, lettera b), dello
Statuto dei lavoratori, in riferimento ai medesimi parametri (artt. 3 e 39
Cost.) ora nuovamente evocati. Ma ritiene che quelle pronunzie – legate ad un
diverso contesto, connotato dalla unitarietà di azione dei sindacati e dalla
unitaria sottoscrizione dei contratti collettivi applicati in azienda, nel
quale «ragionevolmente quella sottoscrizione poteva essere assunta a criterio
misuratore della forza del sindacato e della sua rappresentatività» – vadano
ora «ripensate alla luce dei mutamenti intercorsi nelle relazioni sindacali
degli ultimi anni», caratterizzate dalla rottura della unità di azione delle
organizzazioni maggiormente rappresentative e dalla conclusione di contratti
collettivi “separati”.
Lo
scenario delle attuali relazioni sindacali risulterebbe, inoltre,
ulteriormente, e profondamente, alterato dal nuovo sistema contrattuale,
definito «autoconcluso ed autosufficiente», instaurato dalle società del Gruppo
FIAT, le quali, uscite dal sistema confindustriale e recedute dal Contratto
Collettivo Nazionale di Lavoro per i metalmeccanici, hanno stipulato, nelle
rispettive aziende, un separato contratto collettivo specifico di primo
livello, sottoscritto appunto solo da associazioni sindacali diverse dalla
ricorrente.
Sarebbe
mutato anche il quadro normativo di riferimento, in ragione della copiosa
legislazione che ha elevato la contrattazione collettiva a fonte integrativa,
suppletiva o derogatoria, della propria disciplina, in correlazione, sempre, ad
un parametro di effettiva, e comparativamente maggiore, rappresentatività dei
sindacati stipulanti.
Ed,
appunto, alla luce di tali nuovi dati di sistema e di contesto, il criterio
selettivo di cui alla lettera b) del primo comma del denunciato art. 19
verrebbe ora a «tradire la ratio stessa della disposizione dello Statuto, volta
ad attribuire una finalità promozionale e incentivante all’attività del
sindacato quale portatore di interesse del maggior numero di lavoratori, che
trova una diretta copertura costituzionale nel principio solidaristico espresso
dall’art. 2 Cost., nonché nello stesso principio di uguaglianza sostanziale, di
cui al secondo comma dell’art. 3 della Costituzione».
Si
porrebbe, inoltre, quel criterio, in insanabile contrasto con il precetto
dell’art. 39 Cost., incidendo negativamente sulla libertà di azione del
sindacato, la cui decisione di sottoscrivere o no un contratto collettivo ne
risulterebbe inevitabilmente «condizionata non solo dalla finalità di tutela
degli interessi dei lavoratori, secondo la funzione regolativa propria della
contrattazione collettiva, bensì anche dalla prospettiva di ottenere (firmando)
o perdere (non firmando) i diritti del Titolo III, facenti capo direttamente
all’associazione sindacale, potendo le due esigenze, come nella fattispecie in
esame, entrare in conflitto, e dovendosi inoltre valutare la necessità, ai fini
della sottoscrizione, del consenso e della collaborazione di parte datoriale».
Con l’ulteriore conseguenza che, «in ipotesi estrema, ove la parte datoriale
decidesse di non firmare alcun contratto collettivo, non vi sarebbe nell’unità
produttiva alcuna rappresentanza sindacale».
2.–
Sostanzialmente la stessa questione, con coincidenti argomentazioni, è stata
sollevata anche dal Tribunale ordinario di Vercelli e dal Tribunale ordinario
di Torino.
3.–
I giudizi promossi da dette tre ordinanze, avendo il medesimo oggetto, vanno
riuniti e decisi con unica sentenza.
4.–
In via preliminare, deve essere confermata l’ordinanza adottata nel corso
dell’udienza pubblica, ed allegata alla presente sentenza, con la quale sono
stati dichiarati inammissibili gli interventi adesivi spiegati dalla CGIL,
FILCAMS di Milano e Provincia e dalla Federazione nazionale della stampa
italiana (FNSI) nei giudizi di cui, rispettivamente, all’ordinanza del
Tribunale ordinario di Modena ed a quella del Tribunale ordinario di Vercelli,
nonché l’intervento ad opponendum dell’Associazione Unione industriale della
Provincia di Torino, nel giudizio relativo all’ordinanza del Tribunale di detta
città.
5.–
È ancora preliminare l’esame delle eccezioni di inammissibilità della questione
formulate da tutte le società resistenti nei giudizi a quibus e dal Presidente
del Consiglio.
5.1.–
Ad avviso delle predette resistenti, l’odierna questione sarebbe, infatti,
inammissibile perché identica a quella già decisa, nel senso della non
fondatezza, con la sentenza di questa Corte n. 244 del 1996; ovvero per
incertezza e perplessità del petitum che comunque, se additivo, «omette[rebbe]
di indicare in maniera sufficientemente circostanziata il “verso” della pretesa
addizione» e, se demolitorio, renderebbe la questione stessa priva di
rilevanza.
Argomento,
quest’ultimo, fatto valere anche dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo
la quale «l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art.
19, lettera b), dello Statuto dei lavoratori determinerebbe il venir meno del
criterio della sottoscrizione dei contratti quale criterio selettivo per
l’accesso ai diritti di cui al Titolo III dello Statuto ma, in assenza di un
diverso criterio selettivo, non darebbe titolo all’associazione sindacale di
godere di quei diritti».
Con
riguardo, poi, alle sole ordinanze dei Tribunali ordinari di Vercelli e di
Torino, le società resistenti nei rispettivi processi promossi ai sensi
dell’art. 28 della citata legge n. 300 del 1970 hanno ulteriormente eccepito il
«difetto di motivazione in punto di (pretesa) non manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale sotto i profili enunciati», per essersi
detti giudici limitati a motivare per relationem all’ordinanza del Tribunale
ordinario di Modena.
5.2.–
Nessuna delle prospettate eccezioni può essere accolta.
In
primo luogo, non è esatto che l’esistenza di una precedente pronuncia di non
fondatezza (ed anche di manifesta infondatezza) di una questione (ove pur)
identica a quella riproposta dal giudice a quo sia, come si eccepisce, ostativa
all’ammissibilità di quest’ultima, potendo un tal precedente unicamente,
invece, rilevare nella successiva fase di esame del merito della questione
stessa, alla luce degli eventuali nuovi profili argomentativi a suo supporto
offerti dal rimettente.
Non
è poi sostenibile che il petitum della odierna questione sia incerto o
perplesso, poiché ciò che i giudici a quibus chiedono ora a questa Corte – in
ragione della prospettata incostituzionalità dell’art. 19, primo comma, lettera
b), della legge n. 300 del 1970 – non è una decisione demolitoria, che effettivamente
darebbe luogo ad un vuoto normativo colmabile solo dal legislatore, bensì,
inequivocabilmente, una pronuncia additiva che consenta (ciò che, appunto,
altri giudici di merito hanno ritenuto di poter direttamente desumere in via di
interpretazione sistematica, evolutiva o, comunque, costituzionalmente adeguata
della norma stessa) di estendere la legittimazione alla costituzione di
rappresentanze aziendali anche ai sindacati che abbiano attivamente partecipato
alle trattative per la stipula di contratti collettivi applicati nell’unità
produttiva, ancorché non li abbiano poi sottoscritti (per ritenuta loro non
idoneità a soddisfare gli interessi dei lavoratori).
E,
in tal senso, il “verso” della addictio richiesta – e che, in relazione ai
parametri evocati, si prospetta come obbligata – si sottrae, evidentemente,
anche alla eccezione di non sufficientemente circostanziata sua indicazione.
L’inammissibilità
non può essere, infine, riferita neppure alle sole ordinanze dei Tribunali di
Vercelli e di Torino. Le quali, lungi dall’essere motivate solo per relationem
alla precedente ordinanza del Tribunale di Modena, nel condividerne il petitum,
richiamano puntualmente, e sviluppano anche ulteriormente, le argomentazioni
che lo sorreggono.
6.–
Nel merito, le questioni sono fondate.
6.1.–
L’articolo 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori è stato
ripetutamente sottoposto all’esame di questa Corte.
Le
prime pronunce hanno riguardato la versione originaria di detto articolo,
anteriore al referendum del 1995, ossia quella per la quale «Rappresentanze
sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in
ogni unità produttiva, nell’ambito: a) delle associazioni aderenti alle
confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle
associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano
firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati
nell’unità produttiva».
I
dubbi di legittimità costituzionale investivano, in quel contesto, la mancata
attribuzione ad ogni associazione sindacale esistente nel luogo di lavoro della
possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali.
Nell’affermare
la razionalità del disegno statutario, con i due livelli di protezione
accordata alle organizzazioni sindacali (libertà di associazione, da un lato, e
selezione dei soggetti collettivi fondata sul principio della loro effettiva
rappresentatività, dall’altro), la Corte si è soffermata anche sul criterio
della “maggiore rappresentatività”, che pur conducendo a privilegiare le
confederazioni “storiche”, non precludeva rappresentanze aziendali nell’ambito
delle associazioni sindacali non affiliate alle confederazioni maggiormente
rappresentative, purché si dimostrassero capaci di esprimere, attraverso la
firma di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati
nell’unità produttiva, un grado di rappresentatività idoneo a tradursi in
effettivo potere contrattuale a livello extra-aziendale (sentenze n. 334 del
1988 e n. 54 del 1974).
6.2.–
A partire dalla seconda metà degli anni ottanta si è sviluppato, però, un
dibattito critico in vista di una esigenza di revisione del meccanismo
selettivo della “maggiore rappresentatività” previsto ai fini della
costituzione delle rappresentanze nei luoghi di lavoro.
Ed
è stata proprio questa Corte a segnalare, con un monito al legislatore, l’ormai
ineludibile esigenza di elaborare nuove regole che conducessero a un
ampliamento della cerchia dei soggetti chiamati ad avere accesso al sostegno
privilegiato offerto dal Titolo III dello Statuto dei lavoratori, oltre ai
sindacati maggiormente rappresentativi (sentenza n. 30 del 1990).
L’invito
al legislatore è stato ribadito nella sentenza n. 1 del 1994, che ha dato
ingresso ai due quesiti referendari che in quell’occasione la Corte era
chiamata ad esaminare: il primo, “massimalista”, volto ad ottenere
«l’abrogazione di tutti i criteri di maggiore rappresentatività adottati
dall’art. 19, nelle lettere a e b», e il secondo, “minimalista”, mirante
all’abrogazione dell’indice presuntivo di rappresentatività previsto dalla
lettera a) e all’abbassamento al livello aziendale della soglia minima di
verifica della rappresentatività effettiva prevista dalla lettera b).
In
quella decisione, nella consapevolezza dei profili di criticità che avrebbero
potuto annidarsi nel testo risultante dall’eventuale conformazione
referendaria, nuovamente, questa Corte sottolineò che, comunque «il legislatore
potrà intervenire dettando una disciplina sostanzialmente diversa da quella
abrogata, improntata a modelli di rappresentatività sindacale compatibili con
le norme costituzionali e in pari tempo consoni alle trasformazioni sopravvenute
nel sistema produttivo e alle nuove spinte aggregative degli interessi
collettivi dei lavoratori».
6.3.–
Come è noto, in occasione del referendum indetto con decreto del Presidente
della Repubblica 5 aprile 1995 e tenutosi l’11 giugno 1995, ottenne il quorum
solo “il quesito minimalista”, dando luogo all’attuale art. 19, che attribuisce
il potere di costituire rappresentanze aziendali alle sole associazioni
sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva di
qualunque livello essi siano, dunque anche di livello aziendale.
Nel
commentare la normativa “di risulta”, non si mancò di sottolineare come questa
– pur coerente con la ratio referendaria di allargare il più possibile le
maglie dell’agere sindacale anche a soggetti nuovi che fossero realmente
presenti ed attivi nel panorama sindacale – rischiasse, però, nella sua
accezione letterale, di prestare il fianco ad una applicazione sbilanciata: per
un verso, in eccesso, ove l’espressione «associazioni firmatarie» fosse intesa
nel senso della sufficienza di una sottoscrizione, anche meramente adesiva, del
contratto a fondare la titolarità dei diritti sindacali in azienda (con
virtuale apertura a sindacati di comodo); e, per altro verso, in difetto, ove
interpretata, quella espressione, come ostativa al riconoscimento dei diritti
in questione nei confronti delle associazioni che, pur connotate da una azione
sindacale sorretta da ampio consenso dei lavoratori, avessero ritenuto di non
sottoscrivere il contratto applicato in azienda. E ciò con il risultato,
nell’un caso e nell’altro, di una alterazione assiologica e funzionale della
norma stessa, quanto al profilo del collegamento, non certamente rescisso
dall’intervento referendario, tra titolarità dei diritti sindacali ed effettiva
rappresentatività del soggetto che ne pretende l’attribuzione.
6.4.–
Le pronunzie di questa Corte, nel quinquennio successivo al referendum –
sentenza n. 244 del 1996, ordinanze n. 345 del 1996, n. 148 del 1997 e n. 76
del 1998 – hanno fornito indicazioni, per quanto in concreto sottoposto al suo
esame, solo con riguardo al primo dei due sottolineati punti critici.
E,
per questo aspetto, l’art. 19, «pur nella versione risultante dalla prova
referendaria», ha superato il vaglio di costituzionalità sulla base di una
esegesi costituzionalmente orientata, che ha condotto ad una sentenza
interpretativa di rigetto. In virtù della quale, dalla premessa che «la
rappresentatività del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di
lavoro espresso in forma pattizia», bensì dalla «capacità del sindacato di
imporsi al datore di lavoro come controparte contrattuale», la Corte ha
inferito che «Non è perciò sufficiente la mera adesione formale a un contratto
negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo
di formazione del contratto», e che «nemmeno è sufficiente la stipulazione di
un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli
in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto
importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale
di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa unità
produttiva» (sentenza n. 244 del 1996).
In
questi termini, la Corte ha ritenuto che l’indice selettivo di cui alla lettera
b), del primo comma, dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori «si giustifica,
in linea storico-sociologica e quindi di razionalità pratica, per la
corrispondenza di tale criterio allo strumento di misurazione della forza di un
sindacato, e, di riflesso, della sua rappresentatività, tipicamente proprio
dell’ordinamento sindacale».
6.5.–
Nell’attuale mutato scenario delle relazioni sindacali e delle strategie
imprenditoriali, quale diffusamente descritto ed analizzato dai giudici a quibus,
l’altro (speculare) profilo di contraddizione (per sbilanciamento in difetto) –
teoricamente, per quanto detto, già presente nel sistema della lettera b) del
primo comma, dell’art. 19, ma di fatto sin qui oscurato dalla esperienza
pratica di una perdurante presenza in azienda dei sindacati confederali – viene
invece ora compiutamente ad emersione. E si riflette nella concretezza di
fattispecie in cui, come denunciato dai rimettenti, dalla mancata
sottoscrizione del contratto collettivo è derivata la negazione di una
rappresentatività che esiste, invece, nei fatti e nel consenso dei lavoratori
addetti all’unità produttiva.
In
questa nuova prospettiva si richiede, appunto, una rilettura dell’art. 19,
primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, che ne riallinei il
contenuto precettivo alla ratio che lo sottende.
6.6.–
L’aporia indotta dalla esclusione dal godimento dei diritti in azienda del
sindacato non firmatario di alcun contratto collettivo, ma dotato
dell’effettivo consenso da parte dei lavoratori, che ne permette e al tempo
stesso rende non eludibile l’accesso alle trattative, era già stata del resto
rilevata; e dalle riflessioni svolte in proposito era scaturita anche la
sollecitazione ad una interpretazione adeguatrice della norma in questione,
alla stregua della quale, superandosi lo scoglio del suo tenore letterale, che
fa espresso riferimento ai sindacati “firmatari”, si ritenesse condizione
necessaria e sufficiente, per soddisfare il requisito previsto dall’art. 19,
quella di aver effettivamente partecipato alle trattative, indipendentemente
dalla sottoscrizione del contratto. Interpretazione di cui si è sostenuta la
coerenza con la richiamata giurisprudenza costituzionale in materia di
irrilevanza, ai fini dell’art. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei
lavoratori, della mera sottoscrizione del contratto collettivo non preceduta
dalla effettiva partecipazione alle trattative.
I
Tribunali rimettenti, a differenza di quanto ritenuto da altri giudici di
merito, hanno escluso, però, la possibilità della richiamata interpretazione
adeguatrice, reputata incompatibile con il testo dell’art. 19, e perciò hanno
sollevato le questioni di legittimità costituzionale all’odierno esame, al fine
di conseguire, attraverso una pronuncia additiva, quel medesimo risultato di
estensione della titolarità dei diritti sindacali, sulla base della nozione di
“effettività dell’azione sindacale”, alle organizzazioni che abbiano
partecipato alle trattative, ancorché non firmatarie del contratto.
7.–
La Corte giudica corretta questa opzione ermeneutica, risultando effettivamente
univoco e non suscettibile di una diversa lettura l’art. 19, tale, dunque, da
non consentire l’applicazione di criteri estranei alla sua formulazione
letterale.
Ma
alla luce di una siffatta testuale interpretazione la disposizione in oggetto
non sfugge alle censure sollevate dai rimettenti.
Infatti,
nel momento in cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in
ragione della loro rappresentatività e, per una sorta di eterogenesi dei fini,
si trasforma invece in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente
rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente
rappresentativo, sì da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle
trattative, il criterio della sottoscrizione dell’accordo applicato in azienda
viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3 e 39
Cost.
Risulta,
in primo luogo, violato l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della
irragionevolezza intrinseca di quel criterio, e della disparità di trattamento
che è suscettibile di ingenerare tra sindacati. Questi ultimi infatti
nell’esercizio della loro funzione di autotutela dell’interesse collettivo –
che, in quanto tale, reclama la garanzia di cui all’art. 2 Cost. – sarebbero
privilegiati o discriminati sulla base non già del rapporto con i lavoratori,
che rimanda al dato oggettivo (e valoriale) della loro rappresentatività e,
quindi, giustifica la stessa partecipazione alla trattativa, bensì del rapporto
con l’azienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente di
avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la
stessa.
E
se, come appena dimostrato, il modello disegnato dall’art. 19, che prevede la
stipulazione del contratto collettivo quale unica premessa per il conseguimento
dei diritti sindacali, condiziona il beneficio esclusivamente ad un
atteggiamento consonante con l’impresa, o quanto meno presupponente il suo
assenso alla fruizione della partecipazione sindacale, risulta evidente anche
il vulnus all’art. 39, primo e quarto comma, Cost., per il contrasto che, sul
piano negoziale, ne deriva ai valori del pluralismo e della libertà di azione
della organizzazione sindacale.
La
quale, se trova, a monte, in ragione di una sua acquisita rappresentatività, la
tutela dell’art. 28 dello Statuto nell’ipotesi di un eventuale, non
giustificato, suo negato accesso al tavolo delle trattative, si scontra poi, a
valle, con l’effetto legale di estromissione dalle prerogative sindacali che la
disposizione denunciata automaticamente collega alla sua decisione di non
sottoscrivere il contratto. Ciò che si traduce, per un verso, in una forma
impropria di sanzione del dissenso, che innegabilmente incide, condizionandola,
sulla libertà del sindacato in ordine alla scelta delle forme di tutela
ritenute più appropriate per i suoi rappresentati; mentre, per l’altro verso,
sconta il rischio di raggiungere un punto di equilibrio attraverso un
illegittimo accordo ad excludendum.
8.–
Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, primo
comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui non prevede
che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche
nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti
collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla
negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori
dell’azienda.
9.–
L’intervento additivo così operato dalla Corte, in coerenza con il petitum dei
giudici a quibus e nei limiti di rilevanza della questione sollevata, non
affronta il più generale problema della mancata attuazione complessiva
dell’art. 39 Cost., né individua – e non potrebbe farlo – un criterio selettivo
della rappresentatività sindacale ai fini del riconoscimento della tutela
privilegiata di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori in azienda nel
caso di mancanza di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva per
carenza di attività negoziale ovvero per impossibilità di pervenire ad un
accordo aziendale.
Ad
una tale evenienza può astrattamente darsi risposta attraverso una molteplicità
di soluzioni. Queste potrebbero consistere, tra l’altro, nella valorizzazione
dell’indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti, o ancora
nella introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che
superino una determinata soglia di sbarramento, o nell’attribuzione al
requisito previsto dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di
rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo
applicato nell’unità produttiva vigente, oppure al riconoscimento del diritto
di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di
lavoro. Compete al legislatore l’opzione tra queste od altre soluzioni.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300
(Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale
aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali
che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità
produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi
contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI