domenica 8 aprile 2012

Esodati delle Poste in trappola «Siamo in migliaia nei guai, ad aiutarci solo due impiegate»

Esodati delle Poste in trappola
«Siamo in migliaia nei guai,
ad aiutarci solo due impiegate»
dall’inviato

Lorenzo Sani
Brescia
SE NON CI FOSSE di mezzo il destino di almeno 5.500 persone, la metà delle quali forse ‘salva’, ma l’altra metà sicuramente sospesa in un limbo che non esiste più nemmeno per la Chiesa cattolica, la storia degli ‘esodati’ delle Poste Italiane avrebbe aspetti grotteschi. Perfino comici, ...

dall’inviato

Lorenzo Sani
Brescia
SE NON CI FOSSE di mezzo il destino di almeno 5.500 persone, la metà delle quali forse ‘salva’, ma l’altra metà sicuramente sospesa in un limbo che non esiste più nemmeno per la Chiesa cattolica, la storia degli ‘esodati’ delle Poste Italiane avrebbe aspetti grotteschi. Perfino comici, se osservati con un pizzico di perfidia, o di cinismo.

PRIMA ancora della svolta sulle pensioni di anzianità decretata dal ministro Fornero, il sipario sulla tragicommedia si è alzato nel 2010 col decreto n.78, convertito nella legge 122, che ha sancito la confluenza di tutte le competenze dell’Ipost (l’ente previdenziale dei postali) nell’Inps. Prima toppata: i tempi di attuazione sono stati elegantemente sforati, altro che i 60 giorni previsti dalla legge.

«L’IPOST aveva 130 dipendenti, ora ne ha 24 per tutti i servizi: destinati alla nostra questione ce ne sono solo 8. Questo sparuto drappello di temerari dovrebbe lavorare tutta la parte degli arretrati e quella degli ‘esodati’ che sono vicini alla pensione, perché incentivati nei due anni precedenti» dice con un filo di amarezza Beppe Zani, 54 anni, ex operaio metalmeccanico, postino a Brescia dal 1988. Zani si è recato fisicamente «nell’unico sportello Ipost per tutta Italia, a Roma, in via Beethoven 11, zona Eur, aperto lunedì mattina dalle 9 alle 12 e il giovedì dalle 9 alle 12 e nel pomeriggio dalle 15 alle 17. Una giornata e mezzo per tutta Italia, ripeto. Fisicamente lo sportello è lì, ma dove lavorano le pratiche è in un altro palazzo: quindi se c’è bisogno di controllare un documento, non è possibile e hai fatto bel un viaggio a vuoto. Pensa a chi viene dalla Sardegna o la Val d’Aosta... Le due impiegate sono sommerse di lavoro: 3.500 domande di contributi volontari non riescono a essere evase, più una cifra innumerevole di solleciti su queste stesse domande. Sono sepolte dalle carte e per questa ragione, dicono, non rispondono a mail e numero verde».

DA COSA deriva il caos che si è venuto a creare? Semplice, purtroppo. Drammaticamente semplice. «Il sistema informatico di Ipost non è compatibile con quello dell’Inps» con la conseguenza paradossale che all’Inps ci sono i soldi versati dai lavoratori, ma l’istituto non riesce a vederli e non li riconosce, spiega Mara Polato, 39 anni di contributi, quadro addetto al controllo di qualità, esodata come Zani, dopo la firma sull’accordo, «anche se sarebbe più giusto parlare di licenziamento, per via di quell’articolo 8 che abbiamo sottoscritto tutti, spinti dal miraggio del prepensionamento», rammenta il postino Antonio Geria, in Poste dal 1979.
Cosa dice in famigerato articolo 8? Dice che il dipendente dichiara ‘di manlevare la Società da qualsiasi onere o responsabilità derivante da eventuali future modifiche della normativa pensionistica e fiscale derivanti dalla legge’. «Col senno di poi, ci siamo tirati la zappa sui piedi». Esattamente quello. E che zappa.

COME FACCIA il Governo a non sapere quanti siano i lavoratori esodati, che hanno visto improvvisamente ribaltare programmi e prospettive future è un altro mistero di questa storia all’italiana. Gianpaolo Moroni, postino per anni nella Bergamasca, ci mostra la copia dell’accordo ratificato con la Direzione provinciale del Lavoro. L’intestazione recita: ministero del Lavoro. «Si sa perfettamente quanti siamo, sono tutti dati in possesso del ministero. Come fanno a dire che non sanno quanti siamo?».

IN QUESTO clima di caos e disperazione, denuncia Giovanni Punzi, leader bresciano dei postali Cisl, «mentre il Governo sta cercando di porre rimedio al danno obbiettivo che si è creato, coinvolgendo anche l’azienda, la stessa azienda sta continuando a chiamare colleghi per incentivarli all’esodo volontario. E non chiama più solo quelli a cui manca un anno o due, ma addirittura ci sta provando anche con quelli a cui ne mancano quattro».

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