mercoledì 28 settembre 2011

POSTE ITALIANE: SI CHIUDONO ANCHE GRANDI UFFICI POSTALI - INTERROGAZIONE ALLA CAMERA

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-13318
presentata da
GAETANO NASTRI
lunedì 26 settembre 2011, seduta n.524

NASTRI. - Al Ministro dello sviluppo economico.- Per sapere - premesso che:

secondo quanto riportato dall'edizione locale del quotidiano La Stampa, da alcuni giorni uno dei più importanti uffici postali di Novara, situato in corso Torino, ha chiuso i propri sportelli, causando evidenti problemi per gli utenti della zona ed, in particolare, per i molti anziani fruitori del servizio;

il responsabile regionale delle pubbliche relazioni per l'ente poste ha affermato che la chiusura rientra nel piano di riorganizzazione degli uffici ed, in particolare, quello interessato, richiedeva da tempo una serie d'interventi di ristrutturazione;

nonostante quanto sostenuto dal suddetto dirigente, la chiusura della sede postale di corso Torino, a giudizio dell'interrogante, è destinata a creare notevoli disagi, in considerazione del fatto che, come suesposto, tale ufficio era utilizzato sia da cittadini-utenti di età avanzata sia da molti uffici ed aziende beneficiari del servizio postale;

il decreto del Ministro delle comunicazioni del 28 giugno 2007, nel definire le linee generali di intervento relative alla rimodulazione degli orari di apertura al pubblico degli uffici postali, nonché della stessa riorganizzazione degli uffici, tiene conto tanto delle esigenze organizzative di Poste italiane s.p.a., quanto delle istanze del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, in modo tale che il contemperarsi delle prime con le seconde consenta di assicurare un livello di offerta del servizio in linea con le esigenze della popolazione su tutto il territorio nazionale -:

se e quali iniziative intenda intraprendere nei confronti di Poste italiane s.p.a. affinché disponga la riapertura nei tempi più brevi possibili, dell'importante ufficio postale di Novara di cui in premessa, e per garantire, conseguentemente, un servizio efficiente per i cittadini novaresi e le attività produttive della zona interessata.(4-13318)

INTERROGAZIONE AL SENATO - SERVIZI POSTALI DATI AI PRIVATI: "UN DISASTRO"

Atto Senato

Interrogazione a risposta scritta 4-05841
presentata da
ELIO LANNUTTI
martedì 13 settembre 2011, seduta n.601
LANNUTTI - Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che:
i servizi gestiti da Poste italiane spesso lasciano a desiderare per la scarsa qualità offerti all'utenza nel campo del recapito della corrispondenza, ma tale inefficienza non è nulla rispetto ai pessimi servizi gestiti degli operatori privati autorizzati;
uno di tali nuovi operatori autorizzati, denominato Sailpost, che ha ottenuto la licenza n. 327/2003 dal Ministero delle comunicazioni per il servizio di recapito della corrispondenza, nato e sviluppatosi in seguito alla liberalizzazione del settore postale, vanta nel suo sito servizi equiparabili a quelli erogati di Poste italiane;
si legge infatti sul sito www.sailpost.it. "La vostra soddisfazione è importante per misurare la qualità dei nostri servizi. Portiamo i nostri servizi presso i vostri uffici. Ora è la posta che si sposta! Scopri come concordare il ritiro della tua corrispondenza. Vi offriamo la qualità a prezzi convenienti. Scegli Sailpost e affidati a un servizio che unisce velocità, professionalità e convenienza". Sail post reclamizza attività di trasporto, distribuzione e consegna degli invii postali che sono "svolte da agenzie affiliate alla rete Sailpost secondo un regolamentato rapporto di franchising". "Ogni agenzia Sailpost, in conformità a quanto previsto dalla recente normativa del settore, opera grazie ad una licenza rilasciata dal Ministero delle Comunicazioni ed è pertanto in grado di garantire l'erogazione di servizi equiparabili a quelli di Poste Italiane. Tra i principali servizi postali offerti da Sailpost vi sono: il recapito raccomandate, la consegna di pacchi in città, i servizi di corriere espresso per spedizioni nazionali e internazionali e le attività di stampa, confezionamento e smistamento postale di tutta la corrispondenza". E ancora: "Le agenzie Sailpost sono operative nelle principali città italiane e si avvalgono di un'efficiente struttura organizzativa e logistica, supportata da tecnologie informatiche avanzate. I servizi Sailpost soddisfano le richieste dell'utente più esigente perché offrono formule diversificate e studiate a misura di cliente. Il personale dell'agenzia Sailpost è a disposizione per analizzare e suggerire, con professionalità e cortesia, il servizio più adatto alle esigenze di spedizione della clientela";
Poste italiane, quantunque inefficiente, ha una rete capillare di sportelli, specie nelle grandi città, che consente agli utenti di ritirare la corrispondenza, nel caso non si trovino al proprio domicilio durante il passaggio dell'operatore a poca distanza dalla loro residenza, a differenza degli operatori privati autorizzati che, disponendo di pochi uffici, costringono il consumatore a defatiganti traversate nel traffico delle metropoli;
qualora l'utente non si trovi nel suo indirizzo deve affrontare vere e proprie maratone per ritirare una raccomandata o un'assicurata che talune banche, come Unicredit, affidano ad operatori privati, che tra l'altro non svolgono attività lavorativa il sabato a differenza di Poste italiane che garantisce anche il sabato il servizio di ritiro delle raccomandate;
tali disservizi e disfunzioni vengono così addossati all'utente senza che nella licenza di affidamento a tali operatori siano stati richiesti standard di qualità che siano paragonabili, non solo sulla carta, al servizio universale;
nel domicilio dell'interrogante a Roma nel quartiere Cinecittà, in data venerdì 9 settembre 2011, veniva recapitato nella buca delle lettere un avviso da parte di Sailpost di una raccomandata da parte di Unicredit, che dal giorno successivo (sabato) poteva essere ritirata presso l'agenzia Sailpost Roma 5-6, ubicata in via Tancredi Cartella n. 46 (quartiere Tiburtina, distante circa 15 chilometri), senza che nello stesso avviso fossero specificati i giorni lavorativi. Nell'avviso si leggeva che il 9 settembre 2011, alle ore 11,27 era transitato un operatore di Sailpost per consegnare la raccomandata di banca Unicredit, ma che data l'assenza dell'utente ed il relativo mancato recapito si poteva telefonare al numero 06-43565210 per concordare una nuova consegna. Per tutto il pomeriggio di venerdì 9 settembre 2011, decine di telefonate al numero telefonico andavano a vuoto senza alcuna risposta. Nella giornata di sabato, l'interrogante si recava all'indirizzo per constatare che gli uffici di Sailpost non lavorano il sabato. Da informazioni attinte presso un bar attiguo, due gentili ragazzi che lo gestivano lo invitavano a passare il lunedì successivo, anche di mattina presto. Attorno alle ore 8,50 di lunedì 12, mentre il telefono squillava insistentemente a vuoto, due sgarbati impiegati, ai quali l'interrogante aveva contestato che per tutto il venerdì precedente nessuno rispondeva al telefono, come poteva constatare de visu, rifiutavano di consegnare la raccomandata perché occorreva aspettare le ore 9,00, ora di apertura, mentre un terzo, bontà sua, previo documento di identificazione gli consegnava la raccomandata. L'interrogante contestava di aver dovuto fare due viaggi per ritirare una raccomandata che si sarebbe potuto risparmiare se solo avesse avuto risposte ad un numero di telefono che anche in quell'occasione, alla sua presenza, continuava a squillare a vuoto. "Vai a carabinieri", apostrofava all'interrogante uno degli impiegati, che doveva essere il capufficio, che tra l'altro rifiutava come tessera di riconoscimento il tesserino dell'ordine dei giornalisti, accettando solo la patente di guida, che l'interrogante esibiva,
si chiede di sapere:
sulla base di quali garanzie di serietà e referenzialità il Ministero dello sviluppo economico abbia rilasciato la licenza a Sailpost per il servizio di recapito della corrispondenza, in seguito alla liberalizzazione del settore postale, che vanta nel suo sito, servizi equiparabili a quelli erogati da Poste italiane;
se, anche alla luce dei fatti esposti, il Ministro in indirizzo non ritenga doveroso inviare un'urgente ispezione negli uffici di Sailpost, per verificare se l'operatore rispetti la carta dei servizi e gli obblighi di pubblica concessione nel recapito della corrispondenza;
se non vi sia il dovere, alla luce delle premesse, di verificare se l'ufficio di Sailpost, Roma 5-6, ubicato a Roma via Tancredi Cartella n. 46, nel quartiere Tiburtina, offra quei servizi previsti dalla concessione e dalla carta dei servizi, o se al contrario non debba essere revocata la licenza ad operare per le gravissime inadempienze ed inefficienze di taluni addetti, la cui arroganza anche nel giustificare le mancate risposte al telefono, sono così gravi da provocare danni ai consumatori utenti.
(4-05841)

LETTERA DELLE OO.SS AI DIRIGENTI DI POSTE ITALIANE S.P.A.

Al Presidente di Poste Italiane
All’Amministratore Delegato di Poste Italiane
Ai Sigg. Consiglieri di Amministrazione di P.I.
Ai Sigg. Componenti il Collegio dei Sindaci di P.I.
Al Sig. Delegato della Corte dei Conti di P.I.
LL.SS.

Roma 27 settembre 2011

Oggetto: Premio di Risultato e Vertenza Nazionale in Poste Italiane.

Poste Italiane, nel mese di Giugno, non ha pagato ai lavoratori il Premio di Risultato 2010 nella sua
interezza, con la motivazione che gli obiettivi prefissati non erano stati completamente raggiunti. La
qual cosa non è accaduta per Manager e alta Dirigenza che hanno raggiunto tutti gli obiettivi di
Mbo, percependo anche premi di importo pari a 11 anni di stipendio di un normale lavoratore
postale.
Nei giorni scorsi Poste Italiane ha sottoscritto un accordo, che si allega in copia, per il pagamento
dell’anticipo del Premio di Risultato per l’anno 2011 senza prevedere il conguaglio del 2010 e
senza negoziare la rivalutazione dell’attuale Premio. Tutto ciò a fronte di un bilancio con utili
miliardari nel 2010 e con previsioni altamente positivi per l’anno in corso, come recentemente
dichiarato dall’Amministratore Delegato.
Come è facilmente intuibile dalle firme apposte in calce al documento allegato, esso è un accordo
fortemente minoritario in quanto non sottoscritto dalle OO.SS. che detengono la maggioranza
assoluta degli iscritti e delle RSU in Poste Italiane così come previsto dall’accordo interconfederale
del 28 giugno tra Confindustria e OO.SS. Confederali, richiamato anche nel Decreto-Legge 13
Agosto 2011, n. 138.
Di conseguenza, avendo così palesemente mortificato le legittime aspettative dei lavoratori, artefici
del miliardo di utile del bilancio 2010, ed avendo alterato il dialogo sociale che in questi anni aveva
garantito proficua serenità in Azienda, sarà difficile attendersi dai lavoratori e dalle OO.SS. che li
rappresentano quel “contributo significativo” utile a garantire la realizzazione delle strategie
d’impresa, con le ovvie, prevedibili conseguenze negative.
Distinti saluti.
I SEGRETARI GENERALI
SLP-CISL UIL POSTE CONFSAL COM UGL-COM
M. Petitto C. Amicone R. Gallotta S. Muscarella

lunedì 26 settembre 2011

SCIOPERO ALLE POSTE NEL MESE DI OTTOBRE

25-09-2011 - PROTESTA

Tutto ottobre pieno di scioperi alle Poste

Si è concluso negativamente il tentativo di raffreddamento del conflitto aperto da Slp-Cisl, -UILPoste e CONFSAL COM e UGL COM.

Non si è potuta raggiungere alcuna intesa sul Premio di Risultato in quanto l’Azienda ha riproposto importi che non ripagano le lavoratrici ed i lavoratori dei sacrifici che hanno consentito il raggiungimento degli straordinari risultati aziendali che hanno visto, invece, il management lautamente ricompensato.
Infatti la proposta aziendale è stata quella di uno scambio tra la chiusura del conflitto e un importo da corrispondere nel mese di ottobre di soli 935 euro medi, inferiori agli attuali importi.

Inoltre non vengono recuperati i 220 euro non percepiti a giugno ne è previsto alcun aumento degli attuali importi del premio.

Rimane pertanto inalterata la posizione aziendale rispetto alle modifiche peggiorative dell’attuale struttura del premio.

Una proposta ricattatoria che, con la minaccia di non erogare acconti, ha tentato di costringere i sindacati al tavolo ad accettare un anticipo forfettario inferiore alle nostre richieste e che invece, con nostro stupore, ha visto altri cedere e sottoscrivere.

Non è più tollerabile una politica aziendale che realizza tanti soldi per pochi e pochi soldi per tutti gli altri.
Occorre pertanto dare un segnale forte ad un management che ha perso la bussola e che sta facendo di tutto per compromettere lo sforzo ed il sacrificio realizzato quotidianamente dai nostri lavoratori.
Per questo motivo abbiamo proclamato lo sciopero dello straordinario e delle prestazioni aggiuntive a partire dal 3 ottobre al 30 ottobre 2011.

giovedì 22 settembre 2011

PREMIO DI RISULTATO: PROCLAMATO LO SCIOPERO DELLE PRESTAZIONI

ESITO NEGATIVO DELLA TRATTATIVA SUL PREMIO DI RISULTATO - PROCLAMATO LO SCIOPERO DELLE PRESTAZIONI
Dr. Claudio Picucci
Dir. R.U.
Poste Italiane SpA
Viale Europa 175
00144 ROMA

Dr. Paolo Faieta
Risorse Umane e Org.ne – R.I.
Poste Italiane S.p.A.
Viale Europa 175
00144 ROMA



p.c Commissione di Garanzia per l’Attuazione
della Legge sullo Sciopero nei Servizi Pubblici
Essenziali
Piazza del Gesù 46
00186 ROMA


ROMA, 21 SETTEMBRE 2011

Oggetto: Proclamazione dello sciopero delle prestazioni straordinarie e aggiuntive, per quest’ultime con riferimento al tempo di lavoro aggiuntivo all’orario normale e destinato alla flessibilità operativa.

Le scriventi OO.SS. esperite con esito negativo, (come da verbalizzazione allegata) nei giorni 16 e 21 settembre 2011 presso la Dir. R.U. di Poste Italiane SpA, la procedura di raffreddamento e conciliazione di cui all’articolo 17 del vigente CCNL riferita al conflitto di lavoro aperto in data 14 settembre 2011

PROCLAMANO

Lo sciopero delle prestazioni straordinarie e aggiuntive, per quest’ultime con riferimento al tempo di lavoro aggiuntivo all’orario normale e destinato alla flessibilità operativa per tutti i lavoratori di Poste SpA su tutto il territorio Nazionale nel seguente periodo:

dal 1 ottobre 2011 - al 30 ottobre 2011

Le motivazioni dello sciopero sono quelle contenute nel documento - che alleghiamo alla presente e che ne diviene parte integrante - inviato all’Azienda, il 14 settembre 2011, per l’apertura del conflitto con specifico riferimento al primo argomento (PDR) per il quale si sono esauriti, con esito negativo, i tempi di raffreddamento previsti dall’art. 17 lettera B - punto 3 – terzultimo comma del CCNL.

La presente comunicazione vale come preavviso ai sensi della legge 146/90 e successive modificazioni.
LE SEGRETERIE NAZIONALI

SLP CISL UILPOSTE CONFSAL COM UGL-COM
Mario Petitto Ciro Amicone Raffaele Gallotta Salvatore Muscarella

PREMIO DI RISULTATO: PROCLAMATO LO SCIOPERO DELLE PRESTAZIONI

mercoledì 21 settembre 2011

LA LEGGE 183/2010 E IL (TENTATO) DEPOTENZIAMENTO DEL CONTRATTO A TERMINE

La L. 183/2010 e il (tentato) depotenziamento del contratto a termine
1. Premessa – 2. L’impugnazione del contratto a termine – 3. L’indennità onnicomprensiva – 4. Le prime pronunce giurisprudenziali.
1. Premessa
Tra le tante modifiche apportate dalla L. 183/10, quelle più dirompenti sul piano pratico sembrano essere quelle relative al contratto a termine. Non a caso, una norma di quella legge, l’art. 32, è specificamente intitolata “Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato”, anche se poi la norma comincia modificando l’art. 6 L. 604/66, per proseguire estendendo quella norma modificata a una serie di istituti, di cui il contratto a termine è solo uno dei tanti ivi contemplati. Ma il fatto che il legislatore abbia rubricato la norma richiamando espressamente, ed esclusivamente, il contratto a termine fa capire che questo era l’istituto di maggior interesse.
Del resto, non è la prima volta che il legislatore tenta di depotenziare la tutela giuridica nei confronti dei lavoratori a tempo determinato: ci aveva già provato con il D. Lgs. 368/01. A quel tempo, tutti erano convinti che la riforma avrebbe provocato, tramite il passaggio dal sistema chiuso a quello aperto, una maggiore flessibilità nel ricorso a questa tipologia contrattuale: la giurisprudenza che si è sviluppata a seguito dell’entrata in vigore delle norme del 2001 ha invece dimostrato che, con quella riforma, il ricorso al contratto a termine è divenuto paradossalmente meno flessibile per il datore di lavoro.
Si può poi ricordare la riforma del 2008, che aveva introdotto nel D. Lgs. 368/01 l’art. 4 bis[i], che prevedeva una tutela appunto depotenziata nei confronti dei lavoratori a termine che avessero, alla data di entrata in vigore della riforma stessa, una causa pendente. Ma anche questo tentativo è stato frustrato dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità di quella norma[ii].
Ebbene, il citato art. 32 è solo l’ultimo di quei tentativi. In questo caso (analogamente a quanto era accaduto con l’art. 4 bis, e diversamente da quanto era accaduto con il D. Lgs. 368/01) il tentativo è compiuto operando su aspetti procedurali più che sostanziali: a parità di disciplina sostanziale dell’istituto, infatti, vengono introdotte norme decadenziali e processuali che, se non opportunamente interpretate, potrebbero restringere in maniera davvero significativa la tutela del lavoratore a termine.
In primo luogo, la lettera a. del c. 3 estende la nuova disciplina dell’art. 6 L. 604/66 ai “licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative [tra l’altro] alla legittimità del termine apposto al contratto”. Questa francamente appare una riforma sostanzialmente priva di rilievo pratico. La giurisprudenza si è da tempo consolidata nel senso che la risoluzione per scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato non è qualificabile alla stregua di un licenziamento[iii], quindi a rigore la lettera a. del c. 3 non è applicabile tutte le volte in cui si discuta di un rapporto cessato per mera scadenza del termine.
Vero è che il giudice può qualificare gli atti solo sulla scorta di quanto disposto dal legislatore e, astrattamente, il legislatore potrebbe fornire del licenziamento una definizione tale da ricomprendere anche la disdetta per scadenza del termine di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Tuttavia, ciò non è accaduto in questo caso, giacché la lettera a. del c. 3 si limita a richiamare l’ipotesi del licenziamento, senza fornirne alcuna definizione che, dunque, resta ancora quella previgente, sulla base della quale si era formata la giurisprudenza, sopra richiamata, che in questo caso esclude la configurabilità del licenziamento, al contempo decretando la superfluità della norma in esame.
2. L’impugnazione del contratto a termine
Più problematica sembra invece l’ipotesi contemplata alla lettera d. del medesimo c. 3, che estende l’applicabilità del riformato art. 6 L. 604/66 “all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 . Lgs. 368/01 […], con termine decorrente dalla scadenza del medesimo”.
L’interpretazione della norma non pone particolari problemi nel caso in cui il rapporto sia caratterizzato da un unico contratto a termine: in questo caso è evidente che i termini di impugnazione decorrono dopo la cessazione del rapporto. Problemi interpretativi possono invece sorgere con riferimento ai casi caratterizzati da una pluralità di contratti a termine che si sono succeduti nel tempo: in questo caso, si potrebbe sostenere che il lavoratore debba impugnare ogni singolo contratto, anche se il relativo termine di impugnazione decorre non dopo la cessazione definitiva del rapporto, ma durante l’esecuzione di un successivo contratto a termine. La conseguenza di questo ragionamento è che se l’impugnazione avvenisse solo dopo che il rapporto è definitivamente cessato, la causa non potrebbe riguardare i primi contratti a termine di quel rapporto, per i quali sia intervenuta la decadenza dei 60 o dei 270 giorni.
Che questa interpretazione sia infondata è di immediata percezione, sol che si pensi che, di fatto, un lavoratore non impugnerà mai un precedente contratto a termine mentre ne sta svolgendo un altro. Ciò avrebbe la conseguenza di precludere di fatto (o di limitare) il controllo giudiziario in un caso in cui il datore di lavoro ha fatto illegittimo ricorso a un rapporto di lavoro eccezionale, in luogo dell’ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato: in altre parole, il controllo giudiziario sarebbe di fatto vanificato a fronte di uno dei più gravi comportamenti che un datore di lavoro può porre in essere. Insomma, una simile interpretazione di fatto vanificherebbe la normativa limitativa del contratto a termine, e ciò in contrasto con il principio basilare della eccezionalità del termine (positivamente sancita dall’art. 1 c. 01 D. Lgs. 368/01) e con il rigore cui il legislatore subordina il ricorso a questa tipologia contrattuale.
A ciò si aggiunga che, benché il rapporto sia apparentemente frammentato tra un contratto a termine e l’altro, in realtà la illegittimità del termine comporta la sussistenza di un unico rapporto a tempo indeterminato, decorrente dal primo contratto a termine illegittimo fino alla scadenza dell’ultimo. Ciò significa che, benché formalmente anche prima di allora si siano verificate plurime scadenze del termine, in realtà il rapporto è caratterizzato da una sua continuità e da un unico, complessivo termine, giacché quelli intermedi sono simulati e, comunque, di effimera efficacia, in quanto destinati a essere di lì a poco vanificati dalla instaurazione di un nuovo contratto a termine. La miglior riprova di quanto fin qui detto sta nel fatto che, nel caso di accertata illegittimità di uno dei primi della serie di contratti a termine stipulati tra le parti, la pronuncia giudiziale si focalizza solo sulla disdetta operata nei confronti dell’ultimo di tali contratti, evidentemente ritenendo irrilevanti o fittizie o simulate le disdette precedenti, proprio perché rientranti nell’ambito di un unico rapporto di lavoro e, come tali, prive di efficacia giuridica.
In buona sostanza, anche in un caso come questo vi è in realtà un unico termine scaduto, ovvero quello che ha comportato definitivamente la fine del rapporto (perché quelli precedenti non hanno impedito che il rapporto proseguisse), con la conseguenza che il giorno dal quale decorrono i termini di 60 e 270 giorni è quello della scadenza del termine conclusivo, dopo il quale il rapporto (complessivamente considerato) è finito.
Del resto, qui si deve capire qual sia esattamente l’oggetto dell’impugnazione. Il punto di partenza, è già stato detto, è l’art. 6 L. 604/66, che individua come oggetto dell’impugnazione un licenziamento. L’applicabilità di questa norma è ora estesa, tra l’altro, alle azioni di nullità del contratto a termine; resta da capire se oggetto dell’impugnazione sia il termine apposto al contratto o la cessazione del rapporto a seguito della scadenza del termine, o tutti e due. La soluzione preferibile, per analogia con l’oggetto dell’impugnazione dell’art. 6 e per il fatto che il termine decadenziale decorre pur sempre dalla cessazione del rapporto, è quella che individua l’oggetto dell’impugnazione, appunto, nella cessazione del rapporto.
Se è così, non ha senso affermare che l’impugnazione debba avvenire in occasione di ogni scadenza del singolo contratto: nel caso di pluralità di rapporti a termine c’è una sola disdetta che sia giuridicamente rilevante, ed è l’ultima, mentre le precedenti non producono alcun effetto giuridico. Anche da questo punto di vista rileva la circostanza che, in realtà, il rapporto, benché fittiziamente frammentato in plurimi contratti a termine, è in realtà uno solo, che viene risolto solo una volta alla conclusione della successione di quei contratti, essendo le interruzioni tra un contratto e l’altro semplici e fittizie sospensioni della complessa e articolata, ma unitaria, realtà contrattuale. Pertanto, poiché tra un contratto e l’altro manca una reale disdetta, manca anche l’oggetto dell’impugnazione: tra un contratto e l’altro non c’è nulla da impugnare, con la conseguenza che la “scadenza del termine”, da cui decorre il termine decadenziale, non può essere altro che la scadenza dell’ultimo contratto della serie.
Volendo una riprova di quanto detto, si può far riferimento all’art. 5 c. 4 bis D. Lgs. 368/01 che, come si ricorderà, prevede la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto nel caso in cui i contratti a termine, indipendentemente solo dai periodi non lavorati tra un contratto e l’altro, siano durati oltre 36 mesi. Questa norma fa capire che, nel caso di conversione di un rapporto caratterizzato da una pluralità di contratti, il rapporto (a tempo indeterminato) configurabile è uno solo. Soprattutto, costituisce la riprova che il recesso operato tra un contratto e l’altro non ha alcuna rilevanza giuridica: se così non fosse, il periodo non lavorato tra un contratto e l’altro dovrebbe rilevare ex art. 5 c. 4 bis. Resta pertanto da capire, se si conclude che ogni contratto a termine deve essere impugnato alla scadenza, cosa accada nell’ipotesi disciplinata dall’art. 5 c. 4 bis in assenza di impugnazione da parte del lavoratore. E’ vero che a rigore l’ipotesi non è contemplata dalla disposizione in esame dell’art. 32 L. 183/10 (che fa riferimento ai soli casi di illegittimità del termine ex artt. 1, 2 e 4 D.  Lgs. 368/01). Tuttavia, il coordinamento tra le due norme (necessario in un ordinamento giuridico coerente) porta ancora una volta a concludere che uno solo è il rapporto e una sola è la disdetta.
A ciò si aggiunga ancora che la diversa opinione comporterebbe ulteriori problemi interpretativi di complessa soluzione. Si consideri il caso del lavoratore che abbia stipulato una pluralità di contratti a termine, che abbia impugnato i primi e gli ultimi e non quelli intermedi. Si tratta a questo punto di capire cosa succederebbe (applicando la tesi di chi sostiene che ogni contratto dovrebbe essere impugnato) nel caso di accertata illegittimità dei soli primi contratti e non anche degli ultimi: a rigore, poiché la situazione di accertata illegittimità è stata successivamente sanata per effetto dell’intervenuta decadenza, non potrebbe operare la conversione a tempo indeterminato del rapporto, ma ciò in evidente contrasto con il principio secondo cui in vigenza di un rapporto a tempo indeterminato non può validamente essere costituito un rapporto a termine (su questo principio si fonda l’altro, secondo il quale la illegittimità di uno dei contratti a termine che si sono succeduti nel tempo travolge tutti i contratti a termine successivi).
Una diversa interpretazione contrasterebbe anche con principi di rango costituzionale. Infatti, alla cessazione del singolo contratto a termine viene estesa la disciplina decadenziale prevista nel caso di licenziamento. La differenza tra le due ipotesi è macroscopica: in questo secondo caso il lavoratore ha la certezza che il rapporto di lavoro è cessato (anche perché ha ricevuto una comunicazione scritta al riguardo), il che comporta due importanti conseguenze. La prima, è che il lavoratore in questione si recherà immediatamente da un avvocato o da un suo rappresentante sindacale; la seconda è che il lavoratore, non avendo più nulla da perdere, non esiterà a impugnare il licenziamento. Queste conseguenze rendono tollerabile un onere decadenziale anomalo nell’ordinamento e caratterizzato da un termine di per sé esiguo.
Nel caso di disdetta di un contratto a termine la situazione è affatto diversa. In questa ipotesi, il lavoratore non riceve, almeno di regola, alcuna comunicazione di cessazione del rapporto e, soprattutto, confida che (come spesso avviene) il rapporto proseguirà mediante la stipulazione di un nuovo contratto a termine. Che ciò non avvenga subito è addirittura imposto dall’art. 5 c. 3 D. Lgs. 368/01: in altre parole, il lavoratore sa che, dopo la scadenza del contratto, non potrà stipularne un altro per almeno 10 o, a seconda dei casi, 20 giorni. Ciò impone al lavoratore un’attesa forzata per un periodo di tempo pari almeno all’intervallo contemplato dall’art. 5 c. 3 appena citato, durante il quale il silenzio del datore di lavoro non può essere necessariamente interpretato nel senso della definitiva cessazione del rapporto.
Si vede allora la differenza rispetto al lavoratore licenziato: il lavoratore a termine non ha la stessa urgenza, né la stessa determinazione di impugnare la scadenza del contratto. Per di più, il termine decadenziale, già di per sé esiguo, viene ulteriormente compresso quanto meno per effetto dell’intervallo ex art. 5 c. 3 D. Lgs. 368/01. In buona sostanza, a un lavoratore di fatto più debole, qual è quello a termine, viene applicato il termine decadenziale previsto per un lavoratore più forte (quello a tempo indeterminato che è stato licenziato). Non solo: il termine decadenziale solo apparentemente è uguale quanto a durata, dal momento che, di fatto, è addirittura più esiguo. Il contrasto con l’art. 3 Cost. è evidente e inevitabile.
In ogni caso, l’ipotesi in questione non dice nulla per l’ipotesi della illegittimità dei contratti a termine per fraudolenta elusione della relativa legge. La questione è troppo nota per essere illustrata in questa sede. Basterà dire che l’istituto della frode alla legge è stata negli ultimi tempi di fatto accantonata, complice forse la palese inidoneità delle causali addotte a giustificare l’apposizione del termine: la causa finiva prima di esaminare l’ipotesi della fraudolenza. E’ però ovvio che se il c. 3 lettera d. venisse interpretato nel senso che è necessario impugnare ogni contratto a termine alla relativa scadenza, l’istituto potrebbe tornare di attualità. Naturalmente, questa ipotesi di illegittimità non sarebbe coperta dall’intervenuta decadenza, che rigaurda i motivi di illegittimità ex art. 1, 2 e 4 D. Lgs. 368/01, e quindi motivi affatto diversi da quelli della fraudolenza (che discende invece direttamente dai principi generali dell’ordinamento, e in particolare, dall’art. 1344 c.c. che, come è noto, dispone la illiceità della causa - quindi la nullità del contratto ex art. 1418 c.c. o, meglio, la nullità della clausola relativa al termine ex art. 1419 c. 2 c.c. - nel caso in cui il contratto costituisca “il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”).
3. L’indennità onnicomprensiva
L’ultima questione riguarda il c. 5, ovvero la “indennità onnicomprensiva” stabilita dal giudice “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato”. Non è mancato chi ha sostenuto che l’indennità è sostitutiva non solo delle retribuzioni perdute dal giorno della messa in mora, ma anche della ricostituzione del rapporto. Queste considerazioni non possono però essere condivise.
Preliminarmente, bisogna ricordare che, in una causa che verta su un contratto a termine, le domande normalmente sono due: 1) accertamento della illegittima apposizione del termine, con conseguente trasformazione a tempo indeterminato del rapporto; 2) accertamento della illegittimità della disdetta, con conseguente ripristino del rapporto. Si badi: la conversione del rapporto consegue alla prima domanda, non alla seconda.
Le due domande sono tanto autonome tra loro che possono anche non coesistere: la causa può avvenire anche a rapporto in corso, nel qual caso ci sarà la sola domanda che comporta la conversione, e non anche quella che impone la ricostituzione del rapporto. Ebbene, di queste due domande la legge di riforma contempla espressamente solo la prima: l’indennità è connessa alla conversione del rapporto e prescinde dalla sua ricostituzione, che è effetto di altra, autonoma ed eventuale domanda. Per questo motivo, dunque, l’indennità in questione non ha nulla a che vedere né con la disdetta del rapporto a termine né con il conseguente ordine di ricostituzione del rapporto, ed è dunque inevitabile che la stessa, conseguendo alla domanda di conversione del rapporto e non anche alla domanda di illegittimità della disdetta, sia del tutto inapplicabile alla diversa problematica della ricostituzione del rapporto.
Del resto il Governo (accogliendo l’ordine del giorno G31.124 proposto dai senatori Bianco, Roilo, Adragna, Blazina, Ghedini, Ichino, Nerozzi, Passoni, Treu) ha garantito “che la disposizione di cui all’art. 31 c. 5 venga correttamente intesa come riferita alla conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato e che, conseguentemente, la previsione della condanna al risarcimento del lavoratore venga intesa come aggiuntiva e non sostitutiva della suddetta conversione”. Con maggiore chiarezza, in occasione del dibattito alla Camera (e in risposta al Presidente della XI Commissione, Silvano Moffa, che chiedeva un’interpretazione dell’art. 32 c. 5 tale da “chiarire, in maniera direi definitiva, che questo sostanzialmente si aggiunge e non sostituisce il ripristino del rapporto di lavoro”), il ministro Sacconi così dichiarava: “Il Governo condivide quanto poco fa richiamava il presidente della XI Commissione. Invero, al Senato è stato presentato un ordine del giorno con lo scopo di chiarire la portata della norma citata e il Governo ha accettato quell’ordine del giorno; pertanto, non ho alcuna difficoltà a ribadire che un’oggettiva lettura della norma stessa conduce a ritenere che la conversione di cui si parla sia la conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, e che quindi non vi sia conflitto fra la conversione a tempo indeterminato e quella definizione di risarcimento, anzi i due termini coabitano”[iv].
L’indennità di cui si parla deve essere considerata aggiuntiva anche al diritto del lavoratore di percepire le retribuzioni perdute dal giorno della messa in mora a quello della sentenza. Ancora una volta rileva il dato testuale della norma, che lega la condanna al pagamento dell’indennità alla conversione a tempo indeterminato del rapporto (che, come si è detto, è il frutto di una domanda diversa da quella, eventuale, finalizzata alla ricostituzione del rapporto). Ciò porta inevitabilmente a concludere che l’indennità rappresenta la sanzione alla illegittima apposizione del termine e non alla disdetta del contratto, tanto più che la quantificazione dell’indennità si fonda sui criteri ex art. art. 30 c. 3 L. 183/10 (dimensioni e condizioni dell’attività esercitata al datore di lavoro, situazione del mercato del lavoro locale, anzianità e condizioni del lavoratore, comportamento delle parti) che nulla hanno a che vedere con i requisiti relativi al pagamento delle retribuzioni perdute a seguito della disdetta del contratto (offerta della prestazione lavorativa, mancanza di fonte alternativa di reddito).
Una diversa interpretazione porrebbe seri dubbi di legittimità costituzionale della norma, in particolare nel caso in cui la durata del processo sia tale da rendere l’indennità in questione insufficiente a coprire il reale depauperamento del lavoratore. In primo luogo, si configurerebbe la violazione dell’art. 3 Cost., giacché due lavoratori a termine che abbiano subito lo stesso illecito sarebbero trattati diversamente, ottenendo un risarcimento sufficiente o incongruo a seconda della durata del processo. Il lavoratore a termine sarebbe trattato differentemente, quanto alla tutela risarcitoria, anche rispetto a ogni altro lavoratore che abbia illegittimamente perduto il posto di lavoro nell’ambito della tutela reale: quest’ultimo percepirebbe l’integrale ristoro delle retribuzioni perdute (ex art. 18 S.L. o in base ai principi comuni nel caso di licenziamento nullo o di applicazione dell’art. 27 d.lgs. 276/2003), a differenza del lavoratore a termine che, nonostante la tutela reale, potrebbe percepire un trattamento risarcitorio insufficiente a coprire tutte le retribuzioni perdute.
In secondo luogo, verrebbe violato l’art. 36 Cost., giacché il lavoratore (pur in pendenza del rapporto, per effetto della ricostituzione a opera del giudice) sarebbe almeno in parte privato della retribuzione equa e sufficiente. Infine, sarebbe violato il principio del giusto processo ex art. 24 Cost.: evidentemente, il limite al risarcimento massimo incentiverebbe comportamenti processuali dilatori da parte del datore di lavoro.
Infine qualche parola sull’art. 32 c. 7, che estende la disciplina dell’indennità onnicomprensiva ex art. 32 c. 5 ai giudizi pendenti. Preliminarmente, bisogna osservare che il legislatore si riferisce ai soli giudizi pendenti in primo grado: l’art. 421 cpc, contemplato dalla norma, disciplina i poteri istruttori del giudice di primo grado, mentre i medesimi poteri del giudice dell’appello sono trattati all’art. 437 c. 2 cpc. A maggior ragione, la norma non contempla i giudizi pendenti avanti la Corte di cassazione, dove non può esservi istruttoria.
In ogni caso, la norma è di dubbia legittimità costituzionale. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 311 del 2009, ha recepito, in virtù del rinvio mobile realizzato tramite l’art. 117 c. 1 Cost., il divieto di interventi legislativi retroattivi anche in materia civile, contemplando come eccezione la sola ipotesi che tali interventi retroattivi siano dovuti a motivi imperativi di interessi generali, così accogliendo l’interpretazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali come proposta in alcune sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Per questo motivo, ogni disposizione retroattiva contenuta nella L. 183/10 è irrimediabilmente illegittima.
4. Le prime pronunce giurisprudenziali
Nonostante la novità della materia, alcune pronunce giurisprudenziali si sono già occupate delle questioni che sono state sopra trattate. Eccone alcune:
o       Trib. Busto Arsizio 29/11/10, est. Molinari, che ha concluso nel senso che l’indennità ex art. 32 c. 5 L. 183/10 è aggiuntiva sia alla ricostituzione del rapporto che alle retribuzioni dovute dalla messa in mora alla sentenza;
o       Trib. Bari 1/12/10, est. Colucci, che ha ritenuto l’indennità in questione aggiuntiva alla ricostituzione del rapporto. E’ stata pertanto disposta, appunto, la ricostituzione del rapporto, disponendo la prosecuzione della causa per la sola determinazione delle conseguenze economiche;
o       altre sentenze hanno ritenuto l’indennità ex art. 32 c. 5 aggiuntiva alla ricostituzione del rapporto, ma sostitutiva delle retribuzioni dovute dal giorno della messa in mora: Trib. Milano 29/12/10, est. Tarantola; Trib. Milano 23/12/10, est. Pattumelli, Trib. Milano 10/1/11, est. Atanasio;
o       Trib. Milano 2/12/10, est. Visonà, che ha escluso l’applicabilità dell’indennità ex art. 32 c. 5 L. 183/10 alla fattispecie di cui all’art. 27 c. 1 D. Lgs. 276/03, osservando che “il contratto di somministrazione (il contratto c.d. commerciale tra utilizzatore e somministratore) e il contratto di lavoro (il contratto tra somministratore e lavoratore), per quanto collegati, sono tra loro separati, e che l’art. 27 c. 1 prevede la “costituzione” di un nuovo rapporto di lavoro tra l’utilizzatore e il lavoratore e non la sostituzione dell’utilizzatore al somministratore”;
o       Cass. 28/1/11, pres. Roselli, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 c. 5 e 6 L. 183/10, con riferimento agli artt. 3, 4, 24, 111 e 117 Cost.;
o       Trib. Trani 20/12/10, est. La Notte Chirone, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 c. 5, 6 e 7 L. 183/10, con riferimento agli artt. 3, 11, 24, 101, 102, 111 e 117 Cost..

Stefano Chiusolo


[i] La modifica era stata apportata dall’art. 21 c. 1 bis DL 112/08, convertito con modificazioni in L. 6 agosto 2008, n. 133.
[ii] Corte Cost. 8/7/2009 n. 214, Pres. Amirante, in D&L 2009, 657, con nota di Alberto Guariso, "Non si chiude ancora definitivamente la partita sul contratto a termine acausale".
[iii] Cass. 5/10/2004 n. 19899, Pres. Prestipino Rel. Cataldi, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Irene Corso, 751; Corte d'appello Milano 9/12/2003, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2004, 79; Corte app. Milano 20/1/2006, Pres. Castellini Est. Sbordone, in D&L 2006, con n. Eleonora Pini, “Avviamento obbligatorio e contratto a termine”, 444; Corte app. Catania 6/3/2007, Pres. Pagano Est. D'Allura, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Marina Nicolosi, "Risoluzione per mutuo consenso del contratto a termine illegittimo, attività lavorativa presso terzi e offerta della prestazione", 933; Trib. Milano 12/10/2006, Est. Peragallo, in D&L 2007, 132; Trib. Treviso 26/9/2006, Est. Parise, in D&L 2008, con nota di Barbara Fezzi, "Illegittimità dell'apposizione del termine a un contratto di lavoro e trasformazione in rapporto a tempo indeterminato", 153.
[iv]  L’intervento è reperibile al seguente indirizzo: http://www.camera.it/412?idSeduta=385&resoconto=stenografico&indice=alfabetico&tit=00120&fase=00060

domenica 18 settembre 2011

DUE GIOVANI APPRENDISTI DI POSTE ITALIANE VINCONO LA CAUSA E VENGONO ASSUNTI A TEMPO INDETERMINATO

Lo ha deciso il Tribunale del Lavoro
Licenziati dalle Poste
vincono la causa: riassunti

IL GAZZETTINO - Mercoledì 14 Settembre 2011,

DOLO - Licenziati senza giusta causa, sono stati riammessi in servizio come disposto dal Tribunale del Lavoro di Venezia.
      È questo quanto accaduto a due giovani impiegati di Poste Italiane, che ora si vedranno liquidare dall'azienda pure le spese sostenute nel periodo d'inattività.
      La vicenda inizia nel 2005, quando i due, assunti da Poste Italiane con un contratto di apprendistato di tre anni, vengono licenziati dall'azienda con la motivazione di scarso rendimento. Insomma un vero e proprio "pugno nello stomaco"
      Una motivazione che non accettano e che non convince neppure il segretario provinciale della Slp, Gianni Conte.
      Quest'ultimo impugna il dispositivo e cerca un tentativo di conciliazione con l'azienda, al tavolo provinciale.
      Poste Italiane, però, diserta la trattativa ed induce il sindacato a portare tutto il fascicolo al suo ufficio legale, coordinato dall'avvocato Luisa Miazzi perché faccia causa all'azienda.
      Ci sono voluti sei anni.
      Alla fine della vicenda, però, il giudice del Lavoro del Tribunale di Venezia ha sentenziato che Poste Italiane non aveva diritto di licenziare i due giovani disponendo l'immediato reintegro in azienda dei due.
      Oltre a condannare l'azienda al pagamento delle spese sostenute nel loro periodo di forzata inattività. I due sono già tornati al lavoro.

INCONTRO SUL CONFLITTO NAZIONALE DI LAVORO - COMUNICATO

INCONTRO SUL CONFLITTO NAZIONALE DI LAVORO
COMUNICATO
Si è tenuto stamane l’incontro relativo alla procedura di raffreddamento (art.
17) del conflitto aperto da Slp Cisl / UILPoste / Confsal Com / Ugl Com dove
abbiamo denunciato il momento di estrema difficoltà per i lavoratori/ci di Poste
Italiane. Difficoltà dovute non solo alla volontà aziendale di non aver corrisposto il
Premio di Risultato dell’anno 2010 e di non aver voluto ricercare con le OO.SS. le
condizioni per rinnovarlo per il triennio 2011/2013, ma anche per i disagi ormai
quotidiani che si verificano nell’ambito dei Servizi Postali e di Mercato Privati.
Abbiamo, inoltre, ribadito la nostra volontà di voler affrontare incisivamente
una gestione aziendale che nel suo complesso, non percepisce il reale stato di
difficoltà nel quale versano tutte le articolazioni aziendali, nutrendosi di oniriche
rappresentazioni virtuali.
Criticità e disfunzioni che, nel frattempo, hanno contagiato anche il tavolo
delle RR.II. in occasione del negoziato sul PdR prima e del disertato incontro sul
contratto di settore poi.
Su quest’ultimo abbiamo evidenziato il singolare atteggiamento con il quale
l’Azienda ha tentato l’attivazione, attraverso una convocazione “sterilizzata” dai
soggetti istituzionali, dalle diverse associazioni di categoria e dagli altri operatori
postali ed in assenza di una regolazione di mercato tutti fattori per noi
indispensabili invece per un serio confronto.
Un’Azienda, quindi, che ha dimostrato non solo indifferenza rispetto al valore
del lavoro (e dei risultati conseguiti), attraverso il mancato riconoscimento del PdR,
ma che ha tentato con un clamoroso insuccesso, un braccio di ferro con le OO.SS.
legando il rinnovo del PdR e l’avvio del confronto sul contratto di settore.
Un quadro preoccupante quello disegnato dalle 4 OO.SS., con gravi ripercussioni
sui lavoratori/ci della categoria e sulle possibili prospettive di sviluppo dell’Azienda,
per l’alto grado di insostenibilità raggiunto.
Un’Azienda, quella di Poste Italiane, ostaggio di se stessa!!
Questo è tutto ciò che abbiamo dichiarato e tutto ciò che vogliamo rimuovere.
Per dare non solo un senso ed un valore al sacrificio che la categoria in questi
anni ha profuso ma per ristabilire in questa Azienda nel concetto di equità, una
redistribuzione della ricchezza prodotta che sembra ad oggi essere smarrito.
Nell’aggiornare i lavori, ai primi giorni della prossima settimana, abbiamo infine
ribadito la sospensione di tutti i tavoli regionali a sostegno del nostro conflitto di
lavoro.
Sempre nella prossima settimana decideremo le opportune iniziative da
intraprendere unitariamente.
Roma, 16 settembre 2011
LE SEGRETERIE NAZIONALI
SLP CISL UILPOSTE CONFSAL COM UGL-COM

giovedì 15 settembre 2011

ULTIME COMUNICAZIONI SINDACALI P.D.R.

Dr. Paolo Faieta
Risorse Umane e Org.ne – R.I.
Poste Italiane S.p.A.
Viale Europa 175
00144 ROMA
Roma, 14 settembre 2011

Oggetto:- Apertura conflitto di lavoro a livello Nazionale.-

Ormai da tempo si denota una preoccupante indifferenza aziendale alle diverse richieste di
confronto inviate dalle scriventi OO.SS. circa le numerose criticità presenti in Azienda.
La situazione ha ormai raggiunto livelli di insostenibilità con gravi ripercussioni sull’intera
categoria e sulle prospettive di sviluppo dell’Azienda stessa.
Per tali motivi le scriventi aprono formale conflitto di lavoro ai sensi dell’articolo 17, lettera B)
punto 3) del vigente CCNL sui seguenti problemi:
· Premio di risultato: a fronte degli sbandierati risultati di bilancio relativi all’anno scorso
non si è provveduto al pagamento dell’intera quota del PDR 2010 nel mese di giugno.
Inoltre nonostante le reiterate richieste di riavvio del confronto sul PDR 2011/2013
l’Azienda, da mesi, non ha provveduto a convocare le parti, vanificando, di fatto, il
pagamento dell’anticipo 2011 nel corrente mese di settembre;
· Servizi Postali: Nonostante il completamento della fase di riorganizzazione dei servizi
postali, secondo quanto previsto dall’accordo del luglio 2010, si registrano gravi e continue
inadempienze aziendali in merito alle disponibilità immobiliari, mezzi di trasporto,
sicurezza, strutture operative, rete dei collegamenti e copertura degli organici che nei fatti
vanificano i contenuti dell’accordo e peggiorano le condizioni dei lavoratori applicati e dei
servizi alla clientela;
· Mercato Privati: A fronte della necessità di adeguare l’attività degli uffici alle esigenze di un
mercato in forte evoluzione continuiamo a registrare la mancanza di risposte in relazione
alla carenza degli organici,alla anomala applicazione del personale negli uffici, ad una
piattaforma tecnologica non adeguata, alle difficoltà operative nei nuovi uffici Pt Business,
ai progetti di riorganizzazione insufficienti, alle pressioni commerciali ai limiti del lecito che
spingono i lavoratori ad assunzioni di responsabilità non conformi alle normative ISVAP e
antiriciclaggio, ad un sistema di incentivazione commerciale farraginoso con contenuti
poco trasparenti.
Si rimane in attesa dell’avvio della prevista procedura contrattuale.
Distinti saluti
LE SEGRETERIE NAZIONALI
SLP CISL UILPOSTE CONFSAL COM UGL-COM


Roma, 13 settembre 2011
Dr. Paolo Faieta
Risorse Umane e Org.ne – R.I.
Poste Italiane S.p.A.
Viale Europa 175
00144 ROMA
Oggetto: Apertura conflitto di lavoro a livello nazionale.

Con le comunicazioni del 25 Luglio e 7 settembre la scrivente Organizzazione Sindacale ha
evidenziato la necessità di garantire il pagamento dell’anticipo sul premio risultato 2011 e la
definizione dell’impianto relativo allo stesso premio per il triennio 2011/2013.
In assenza di un riscontro relativo a quanto sopra citato , la scrivente Organizzazione Sindacale apre
formale conflitto di lavoro ai sensi dell’articolo 17, lettera B) punto 3) del vigente CCNL sui
problema sopra esposto .
In attesa dell’avvio della prevista procedura contrattuale la scrivente porge distinti saluti.
p. la Segreteria Nazionale
Barbara Apuzzo


COMUNICATO UNITARIO
APERTURA CONFLITTO DI LAVORO NAZIONALE
A fronte del perdurante silenzio Aziendale alle nostre richieste di incontro riguardanti il
rinnovo del Premio Di Risultato 2011/2013 e le numerose criticità nei diversi settori operativi
dell’Azienda, abbiamo aperto il conflitto di lavoro a livello Nazionale.
Riteniamo infatti inaccettabile, in merito al PDR, quanto accaduto nello scorso mese di
giugno che ha visto, nonostante un cospicuo utile di bilancio aziendale dello scorso anno, da una
parte i lavoratori fortemente penalizzati nel saldo del premio 2010 e dall’altra il management
lautamente premiato.
Inoltre l’attuale comportamento aziendale ha di fatto vanificato la possibilità di
provvedere al pagamento dell’ anticipo 2011 nel corrente mese di settembre.
Per quanto riguarda i servizi postali le inadempienze aziendali in merito alle disponibilità
immobiliari, ai mezzi di trasporto, alla sicurezza, alle strutture operative, alla rete dei collegamenti
e alla copertura degli organici hanno di fatto vanificato il progetto di ristrutturazione che era
stato correttamente implementato, peggiorando le condizioni dei lavoratori applicati e dei servizi
alla clientela.
Infine nell’ambito di Mercato Privati la carenza degli organici, la anomala applicazione del
personale negli uffici, una piattaforma tecnologica non adeguata, le difficoltà operative nei nuovi
uffici Pt Business, i progetti di riorganizzazione insufficienti, le pressioni commerciali ai limiti del
lecito che spingono i lavoratori ad assunzioni di responsabilità non conformi alle normative ISVAP
e antiriciclaggio, un sistema di incentivazione commerciale farraginoso con contenuti poco
trasparenti, generano pesanti ricadute sul personale applicato e non consentono alla struttura
degli uffici di adeguarsi alle esigenze di un mercato in forte evoluzione.
Non permetteremo che si crei una situazione in cui in nome della tenuta aziendale sul
mercato, si possano chiedere sacrifici ai lavoratori all’infinito, senza dare in cambio la giusta
contropartita.
Fino a completamento delle procedure di conflitto anche i tavoli regionali dovranno
essere sospesi.
Roma, 14 settembre 2011
LE SEGRETERIE NAZIONALI
SLP CISL UILPOSTE CONFSAL COM UGL-COM

COMUNICATO
Nella giornata di ieri abbiamo aperto formale conflitto di lavoro con l’azienda, ai sensi dell’ art.17
del vigente CCNL- ex art.18 - in merito al mancato pagamento dell’acconto sul premio di risultato
e sulla mancata definizione dell’impianto dello stesso premio per il triennio 2011-2013.
Quest’atto si è reso indispensabile visto il paradossale e incomprensibile ritardo nel pagamento
del premio, che viene meno nonostante i risultati positivi raggiunti ancora una volta da Poste
Italiane (chiusura del bilancio di esercizio 2010 con un saldo positivo di 800 milioni di euro).
Abbiamo più volte richiamato l’attenzione dell’azienda su questo tema, sottolineando il fatto che
il perdurare di una difficile fase nelle relazioni sindacali, peraltro più volte denunciata dalla nostra
organizzazione sindacale, non può continuare a produrre effetti negativi sulle lavoratrici ed i
lavoratori di Poste Italiane.
La SLC CGIL si è sempre resa disponibile al confronto, a condizione che questo fosse “vero”, invece
per mesi abbiamo assistito ad una trattativa di fatto infruttuosa, che aveva un unico intento:
escludere la SLC CGIL.
Oggi la misura è colma. Le lavoratrici ed i lavoratori non possono più aspettare che
“incomprensioni” o “strategie” abbiano la meglio sui loro interessi.
Per questo motivo, certi di interpretare il malcontento di tutte le Lavoratrici e i Lavoratori di
Poste, avevamo chiesto all’azienda di pagare l’acconto del PDR con la busta paga di settembre,
per poi discutere, continuiamo ad augurarci in maniera unitaria, dell’impianto relativo al triennio
2011-2013.
Purtroppo la mancata erogazione del PDR non rappresenta l’unico problema per le lavoratrici ed i
lavoratori di Poste Italiane.
Sindacato Lavoratori Comunicazione

Da mesi chiediamo incontri per discutere delle politiche adottate in materia di appalti, chiediamo
il consolidamento degli interinali e un nuovo accordo di stabilizzazione dei precari, la verifica
degli organici SP-MP ( per noi assolutamente carente); per non parlare delle implementazioni
legate alle sportelizzazioni, della urgente verifica sul progetto otto/venti, del problema legato al
lancio del progetto “Istat XV censimento”, delle criticità legate all’ utilizzo della PostePay Lunch e,
infine, dell’ analisi relativa all’utilizzo delle clausole elastiche e del cedolino on line.
Sono tutte questioni che non possono più aspettare, perché crediamo che le Lavoratrici e i
Lavoratori di Poste Italiane, che da sempre si distinguono per grande senso di responsabilità e
dedizione quotidiana nello svolgere il proprio lavoro, meritano di essere premiati e rispettati e
non di essere ignorati.
La CGIL tutta è impegnata in questi giorni per contrastare un manovra che produrrà effetti
devastanti su tutti i lavoratori e i pensionati, come SLC lavoriamo perché la condizione dei
lavoratori di Poste non venga ulteriormente aggravata. Per questo motivo, a partire dal Premio di
Risultato, rivendichiamo l’immediata erogazione dell’acconto sul Premio di Risultato per l’anno
2011 e l’apertura di un serrato confronto su tutte le questioni sopra citate.
Roma, 14 settembre 2011
la Segretaria Nazionale
Barbara Apuzzo