lunedì 11 febbraio 2013

Ravenna, Ufficio Poste rapinato tre volte in un anno Ex lavoratrice chiede danni: 350mila euro


LA CAUSA

Disturbi dopo gli assalti, costretta a licenziarsi. Nel Faentino invece

è l'azienda che chiede 13.500 euro a una dipendente per una rapina

di Andrea Alberizia
Chiede 350mila euro a Poste Italiane come risarcimento danni perché l’azienda non avrebbe fatto il possibile per evitare che l’ufficio in cui lavorava venisse rapinato tre volte in un anno e i disturbi conseguenti allo stress per quegli assalti le hanno impedito di continuare a lavorare. Andrà in decisione il 5 marzo la causa presentata al giudice del lavoro di Ravenna, Roberto Riverso, da una ravennate che lavorava in uno degli uffici postali della città.
Il maxi risarcimento chiesto dalla lavoratrice è la somma dei danni morali, biologici, esistenziali e permanenti quantificati nel ricorso. Gli episodi risalgono al biennio 2002-2003: la prima rapina a luglio 2002, poi ottobre 2002 e infine luglio 2003. La donna sostiene che quei casi particolarmente violenti le avrebbero poi causato una serie di disturbi di varia natura impedendole di restare al lavoro con serenità e costringendola quindi a interrompere il rapporto. L’accusa rivolta a Poste è quella di non aver dotato la filiale dei necessari accorgimenti antirapina in modo da garantire la sicurezza dei dipendenti, nemmeno dopo il primo caso che – sostiene la donna – poteva essere considerato un campanello d’allarme.
È invece di segno opposto un’altra causa di lavoro che coinvolge ancora Poste Italiane in provincia di Ravenna. Questa volta è il colosso controllato dal ministero dell’Economia a chiedere un risarcimento a una sua lavoratrice impiegata in un ufficio del Faentino: 13.500 euro, la stessa somma che ignoti rapinarono a novembre 2011. L’azienda non ritiene la donna penalmente responsabile in concorso ma giudica il suo comportamento scorretto per la sicurezza dell'ufficio. Il colpo avvenne verso le 6 del mattino: la donna andava al lavoro un paio di ore prima dell’apertura al pubblico (disattivando l’allarme nei locali) per cominciare prima le sue mansioni e non doversi fermare oltre un certo orario. Una sorta di flessibilità dell’orario di lavoro che durava da quattro anni e di cui, sostiene la lavoratrice, l’azienda era al corrente. Un paio di mesi dopo quella rapina, lo stesso ufficio fu assaltato di nuovo, in pieno orario di apertura, con altri dipendenti all’interno. E inoltre dalla centrale operativa che controlla la sicurezza delle sedi distaccate non sarebbe mai giunta alcuna segnalazione per la disattivazione dell’allarme in orari non a ridosso dell’apertura ufficiale.
07 - 02 - 2013
Ravenna&dintorni.it

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