È accaduto in provincia di Bergamo ad un 22enne a cui è stata rifiutata l’assunzione come postino. Questa la motivazione addotta dalla responsabile del locale ufficio PT: “I certificati medici confermano che potrebbe lavorare, ma per la tutela del ragazzo abbiamo creduto opportuno non assumerlo”.

Il ‘difetto’ del nostro aspirante postino precario è infatti quello di essere affetto da diabete di tipo 1 dal 2008. E a nulla sono valse le dichiarazioni del suo diabetologo dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e la certificazione che il giovane non abbia alcun problema particolare e possa dunque svolgere qualsiasi lavoro perché in buone condizioni di salute. Ironia della sorte, il ragazzo è in trattamento con un microinfusore, una sorta di lettore di MP3, come lui stesso lo definisce, che si porta appeso alla cintura e che gli eroga sottocute le unità di insulina di cui ha bisogno durante il giorno. Si tratta di una delle terapie più avanzate per il diabete, frutto di tecnologie sofisticate e molto avanzate. Evidentemente lo stigma e il pregiudizio hanno ancora la meglio sulla ragione e sulla scienza.
“Siamo nel 2013, a più di 25 anni - ha ricordato Stefano Del Prato, presidente della Società italiana di diabetologia - dalla pubblicazione della legge 115/87 a tutela della persona con diabete. Quella tutela è stata ulteriormente rafforzata dalla recente indagine conoscitiva promossa dal Senato sul diabete in Italia e dalla promulgazione del Piano Nazionale del Diabete. Duole e indigna pertanto leggere di tali ingiustificate, deprecabili discriminazioni”.
“È ormai scientificamente dimostrato che la persona con diabete può, proprio grazie all’insulina e agli altri eventuali farmaci, svolgere qualsiasi attività. Tra le 250.000 persone con diabete di tipo 1 vi sono atleti, scalatori, ciclisti, calciatori professionisti, top manager, Senatori e Deputati della Repubblica. Ognuna di queste 250.00 persone affronta quotidianamente, come ogni altro cittadino, il proprio lavoro, la famiglia, la vita sociale -ha spiegato - le discriminazioni per lo stato di salute non sono diverse dalle discriminazioni per motivi di sesso, di razza, di lingua, di religione e di opinione politica. Sarebbe opportuno che chi ha preso questa infausta decisione venisse semplicemente rimandato alla lettura dell’art. 3 della nostra Costituzione”.
25 marzo 2013
quotidianosanità.it
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