Stefano Rossi
Nella stesura della legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, che ha innovato per il futuro i contratti a progetto, il Governo ha tenuto conto delle problematiche più ricorrenti affrontate negli ultimi anni dalla giurisprudenza e dal solco tracciato dalla Cassazione.
La Suprema corte, impegnata nella difficile ricerca della linea di confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, ha stabilito, ad esempio, che si ravvisa il lavoro subordinato se il lavoratore a progetto è soggetto al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. In sostanza, i giudici, con la sentenza 6643 depositata il 2 maggio, hanno affermato che, perché si realizzi lavoro subordinato, in luogo del lavoro a progetto, il datore di lavoro deve impartire specifici ordini, oltre che esercitare un'assidua attività di vigilanza e controllo sull'esecuzione delle prestazioni lavorative.
La Cassazione ha precisato che lo svolgimento di controlli da parte del datore di lavoro è compatibile con ambedue le forme di rapporti. Assume quindi rilievo, per la qualificazione del rapporto come subordinato, solo quando per oggetto e per modalità, i controlli sono finalizzati all'esercizio del potere direttivo ed, eventualmente, di quello disciplinare. Altri elementi, invece, come l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario, la localizzazione della prestazione e la cadenza e la misura fissa della retribuzione, assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva (Cassazione 5534/2003, Cassazione 4889/2002). Il lavoratore a progetto, tuttavia, ha visto respingersi il ricorso, stante anche la concreta specificità del progetto inerente la realizzazione e gestione del magazzino aziendale. È evidente, perciò, che nell'ordinario svolgersi del rapporto di lavoro, diventa difficile capire se un contratto a progetto possa definirsi genuino.
Così, la Cassazione, con sentenza 4476 dello scorso 21 marzo, ha affrontato il caso di una lavoratrice di un call center che ricorreva al giudice per vedersi riconosciuta la natura subordinata del contratto a progetto stipulato con la società. La pronuncia, dopo aver ribadito che la distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo è da rinvenire nell'assoggettamento o meno al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore, afferma che è necessario individuare gli elementi della subordinazione che siano in contrasto con la qualificazione di un lavoro a progetto. In particolare, se il lavoratore è pienamente inserito nell'organizzazione della società, utilizzando strumenti e mezzi di quest'ultima senza alcun rischio di impresa e se riceve dall'azienda puntuali ordini di servizio, il contratto da applicare è quello che prevede la subordinazione del lavoratore e non la collaborazione. Nella vicenda, la lavoratrice riceveva istruzioni operative sia in sede di briefing, sia dall'assistente di sala, svolgendo, tra l'altro, gli stessi compiti dei colleghi con contratto subordinato. Altro indice della subordinazione, individuato in particolare dalla giurisprudenza dei tribunali di merito, è la mancanza o specificità del progetto. In realtà, il progetto o il programma, per soddisfare il requisito della specificità, deve consistere in un'attività identificabile e collegabile a un risultato finale o parziale che deve essere diverso da quello della prestazione del servizio fornito dalla società. Peraltro, non è sufficiente la descrizione di un obiettivo ma è necessaria l'individuazione dell'inquadramento organizzativo della prestazione del collaboratore a progetto. Questi due requisiti devono essere indicati nel contratto ai fini probatori (Tribunale di Trieste, 9 aprile 2009).
Il Sole 24 Ore del 27 agosto 2012 - Sez.Lavoro
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