L’art. 97 della Costituzione stabilisce un importante principio generale, e cioè che gli uffici pubblici devono essere organizzati in modo che siano garanti il buon funzionamento e l’imparzialità dell’amministrazione. La norma ha, quindi, prima di tutto, un carattere programmatico che attiene ai profili organizzativi. Tuttavia, essa è stata interpretata anche come regola dell’attività amministrativa: in base a questo articolo, i pubblici funzionari sarebbero tenuti ad assicurare il corretto e imparziale bilanciamento degli interessi pubblici o privati che sono chiamati a valutare. In virtù di questa seconda interpretazione, l’art. 97 avrebbe un significato precettivo, oltre che programmatico, e una applicabilità immediata ai funzionari pubblici, senza che sia necessaria l’intermediazione di una specifica legge o di un regolamento (si veda, esempio, Suprema Corte di Cassazone, Sezione VI Penale, Sentenza 19 giugno 2008, n. 25162).
Coerentemente con il dettato costituzionale, il Codice Penale prevede ipotesi specifiche di delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Il libro II dedicato ai ‘Delitti in particolari’, contiene, infatti, un titolo II, specifico sui delitti contro la Pubblica amministrazione, all’interno dei quali si distinguono quelli posti in essere dagli stessi pubblici ufficiali (capo I) da quelli perpetrati da soggetti privati (capo II). Della prima categoria fanno parte il peculato (art. 314), la concussione (art. 317), la corruzione (artt. 318, 319, 319-ter), l’abuso d’ufficio (323).
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