BRESCIA -
Nel 2008 Poste Italiane bandisce una gara d’appalto per il rinnovo del servizio di pulizia e igiene ambientale per gli immobili in uso a Poste Italiane Spa ubicati nella Regione Lombardia comprese le strutture presenti a Brescia e provincia con un contratto di quattro anni rinnovabile di anno in anno. Vince l’appalto il Consorzio Stabile Prisma con sede legale a Genova, per il periodo dall’1 dicembre 2008 al 30 novembre 2012. Il valore complessivo dell’appalto è, nei quattro anni, di 2.215.361 euro con rinnovi annuali confermati alla capogruppo mandataria Iprams spa, che vince la gara in base al meccanismo del massimo ribasso.

Poste Italiane riconosce la responsabilità in solido ma solo perché chiamata a risponderne davanti ad un tribunale, eppure la legge è chiara, non lascia interpretazioni, ma è meglio scaricare e procrastinare questi costi su coloro che lavorano che non risolvere le questioni tra appaltanti e appaltatori. Nel frattempo, gli oltre 100 lavoratori e lavoratrici di Brescia coinvolti pagano un prezzo altissimo, retribuzioni non corrisposte, Tfr non riconosciuti, orari di lavoro sempre più ridotti hanno portato a una situazione insostenibile trasformando la loro condizione di vita da dignitosa a una situazione di povertà. Diventa inevitabile interrogarsi sulla sensatezza e legalità di questi appalti al massimo ribasso: Poste Italiane ha presentato nei mesi scorsi un risultato di bilancio invidiabile (superiore al miliardo di euro), si tratta di una società pubblica che ha ottenuto riconoscimenti per la “Responsabilità sociale d’impresa” e per “L’Etica d’impresa”, diretta dal dott. Massimo Sarmi, il quale percepisce una busta paga annua da 1.580.000 euro.
Purtroppo – continua la nota – da anni la responsabilità sociale di Poste Italiane pare non raggiungere i lavoratori e le lavoratrici. Questa vicenda, come tante altre, interroga tutti se il sistema, ormai consolidato, degli appalti pubblici garantisce legalità in questo paese o se invece si assiste impotenti davanti al proliferare di illegalità diffuse e frodi non solo ai danni dei lavoratori e lavoratrici, ma all’insieme della collettività. I primi a pagarne il conto sono i lavoratori e le lavoratrici, soggetti fragili che pur di lavorare accettano condizioni inaccettabili, che nell’arco di tre anni hanno visto impoverire il loro lavoro, il loro salario e le condizioni di vita. Ne paga poi le conseguenze l’intera collettività in quanto per vedere riconosciute le spettanze di questi lavoratori diventa necessario avviare un lungo iter giudiziale che intasa le nostre aule di giustizia per ottenere un diritto sacrosanto che non dovrebbe essere in discussione.
Inoltre, il Paese nel suo insieme, dove troppo spesso le regole ci sono ma non sono applicate, l’appaltatore che ha l’obbligo di vigilare e non lo fa, i professionisti che insegnano come poter aggirare le leggi e le regole e non il contrario, la macchina pubblica che non riesce a frenare queste frodi e irregolarità e tutto questo diventa sistema e quotidianità. Oggi oltre ad esprimere soddisfazione per il buon esito, ancorché parziale della vicenda – termina la nota – siamo a intraprendere nuovi ricorsi che vedono coinvolti gli stessi lavoratori e che in questo momento hanno la consapevolezza che c’è ancora qualcuno che cerca di dare risposta alla richiesta che siano rispettati i loro diritti.
Pubblicato da Redazione l'Eco delle Valli
il 24 maggio 2013
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