Con la sentenza depositata il 13 maggio 2013, n. 11411 la Corte di Cassazione ha definito il
ricorso riguardante il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, disconoscendone la legittimità -per carenza dei requisiti di legge ed in
particolare della forma scritta, con
conseguente conversione in un ordinario contratto di lavoro a tempo
indeterminato .
SENTENZA
Poste Italiane spa
chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Milano,
pubblicata il 17 luglio 2009, che ha rigettato l’appello contro la decisione
con la quale il Tribunale di quella città aveva accolto la domanda di M. S..
Il signor S. ha
lavorato in P.I. spa, impresa utilizzatrice di un contratto di fornitura di
lavoro temporaneo stipulato con O. spa, per una pluralità di periodi, a
cominciare da un primo lavoro a termine iniziato il 12 febbraio 2003 e
terminato il 30 aprile di quello stesso anno, per poi essere più volte
prorogato.
Tribunale e Corte
d’appello, accogliendo la domanda del lavoratore, hanno ritenuto che la causale
del contratto di fornitura, “casi previsti dal ccnl”, fosse del tutto generica
ed inidonea ad integrare i requisiti di specificità richiesti dalla legge n.
196 del 1997. Né tale inidoneità poteva dirsi superata per il fatto che il
contratto di lavoro temporaneo aggiungesse l’inciso “punte di attività”.
Per tali motivi la
Corte ha ritenuto, in conformità al Tribunale, che il rapporto si doveva
considerare direttamente instaurato tra il lavoratore e l’impresa
utilizzatrice, con decorrenza dal giorno dell’assunzione, ed è a tempo
indeterminato, condannando la società utilizzatrice a riammettere il lavoratore
in servizio e a corrispondergli per il periodo pregresso le retribuzioni
maturate dal giorno della messa in mora, detratto l’aliunde perceptum.
P.I. spa articola
cinque motivi di ricorso. Il lavoratore si è difeso con controricorso. Entrambe
le parti hanno depositato una memoria.
Con il primo motivo la
società denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 3, lett. a) della
legge n. 196 del 1997 e dell’art. 12 prel. ex. (art. 360, n. 3, c.p.c.)”. la
tesi sostenuta è che il contratto di fornitura può essere sottoscritto solo in
presenza di determinati motivi con un onere sostanziale quindi e non di forma,
mentre il contratto di lavoro temporaneo non impone alcun obbligo di
specificare le ragioni del ricorso al lavoro temporaneo, con la conseguenza che
l’onere di specificazione richiesto dalla Corte di Milano sarebbe ‘improprio’.
Il quesito è il seguente: se sia o meno errata l’interpretazione che prescriva
la specificazione, nel contratto di prestazione, dei motivi di ricorso al
lavoro temporaneo e non semplicemente la loro indicazione anche per relationem
a quelli previsti dal ccnl”.
L’art. 1, secondo
comma, della legge 196 del 1997, consente il contratto di fornitura di lavoro
temporaneo solo nelle seguenti ipotesi: “a) nei casi previsti dai ccnl della
categoria di appartenenza della impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi; b) nei casi dì temporanea utilizzazione
di qualifiche non previste dai normali assetti produttivi aziendali; c) nei
casi di sostituzione dei lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al
comma 4″ (che prevede le situazioni in cui è vietata la fornitura di lavoro
temporaneo).
La causale indicata
nel contratto di fornitura in esame è la seguente: “Casi previsti dal ccnl”. Il
contratto, pertanto, invece di specificare la causale all’interno delle
categorie consentite dalla legge, si limita a riprodurre il testo della lett.
a) dell’art. 1 della legge, senza compiere alcuna specificazione: non si
specifica a quali contratti collettivi nazionali applicabili all’impresa
utilizzatrice si fa riferimento, né, tanto meno, come sarebbe necessario, a
quale delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva si fa riferimento.
La genericità della
causale rende il contratto illegittimo, per violazione dell’art. 1, primo e
secondo comma, della legge 196 del 1997, che consente la stipulazione solo per
le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate nel
secondo comma, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere
di indicare, né può indicare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi
a riprodurre il contenuto della previsione normativa.
10. L’illegittimità
del contratto di fornitura rende superfluo l’esame della legittimità del
contratto di lavoro temporaneo conseguente.
11. Il secondo, il
terzo ed il quarto motivo sono inammissibili perché non rientrano nella
previsione dell’art. 360, n. 5, c.p.c. in quanto quelli indicati come fatti
controversi e decisivi per il giudizio, non possono essere considerati tali,
secondo la giurisprudenza consolidata di questa S.C. in base alla quale “Il
motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.
così come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – si
denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve
specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale
la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una
“questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi,
un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo,
modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un
fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso
e decisivo (Cass., ord., 5 febbraio 2011, n. 2805; Cass. 29 luglio 2011, n.
16655). Nel caso in esame quelle poste sono non fatti, ma questioni giuridiche
concernenti la valutazione della specificità del motivo di assunzione (secondo
motivo), la mancata ammissione di prove (terzo motivo), la valutazione della
unitarietà o molteplicità delle causali (quarto motivo).
12. Con il quinto motivo
si denunzia violazione dell’art. 10 della legge 196 del 1997, ponendo il
problema delle sanzioni.
13. La legittimità del
contratto di fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un
legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Per scelta
legislativa i vizi del contratto commerciale dì fornitura tra agenzia
interinale e impresa utilizzatrice si riflettono sul contratto di lavoro.
14. L’illegittimità
del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto
di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, e quindi
l’instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè
con il datore di lavoro effettivo. Infatti, l’art. 10, primo comma, collega
alle violazioni delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (cioè
violazioni di legge concernenti proprio il contratto commerciale dì fornitura),
le conseguenze previste dalla legge 1369 del 1960, consistenti nel fatto che “i
prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze
dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”.
15. In tal senso
questa S.C. si è espressa, in modo univoco e costante, con una pluralità di
decisioni, a cominciare da Cass. 23 novembre 2010 n. 23684; Cass. 24 giugno
2011 n. 13960; Cass. 5 luglio 2011 n. 14714, alle cui motivazioni si rinvia per
ulteriori approfondimenti.
16. Le medesime
sentenze hanno precisato che alla conversione soggettiva del rapporto, si
aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a
tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal decreto
legislativo 368 del 2001, a cominciare dalla forma scritta, che
ineluttabilmente in tale contesto manca con riferimento al rapporto tra impresa
utilizzatrice e lavoratore (sul punto, v. anche: Cass. 1148 del 2013 e Cass.
6933 del 2012).
17. L’effetto finale è
la conversione del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo in un
ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato tra l’utilizzatore della
prestazione, datore di lavoro effettivo, e il lavoratore.
18. Pertanto, la
conclusione cui sono giunti il Tribunale e la Corte d’appello di Milano è
pienamente conforme alla legge.
19. Non può essere
accolta la richiesta di applicazione dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010,
formulata da P.I. spa con la memoria difensiva, in quanto il capo della
decisione relativo al risarcimento del danno è passato in giudicato, non
essendo stato oggetto di impugnazione. Per giurisprudenza costante di questa
S.C. l’applicabilità dell’art. 32 cit. ai processi in corso in fase di appello
o di legittimità trova il limite costituito dal giudicato.
20. Il ricorso,
pertanto deve essere rigettato.
21. Le spese del
giudizio di legittimità devono essere poste a carico della parte che perde il
giudizio e vengono liquidate secondo i parametri previsti dal D.M. Giustizia,
20 luglio 2012, n. 140 (cfr. Cass. Sez. un. 17405 e 17406 del 2012).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e
condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità al contro ricorrente, liquidandole in 50,00 euro per esborsi e
4.000,00 euro per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
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