Il lavoro interinale diventa a tempo indeterminato se il fabbisogno lavorativo all’interno dell’azienda non muta. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 20598/2013, respingendo il ricorso di Poste italiane contro un proprio contrattista assunto per un supposto incremento di lavoro a seguito del varo del progetto ‘week end’.
La Suprema corte ha dunque ritenuto corretta la motivazione della Corte di appello di Ancona che ha “accertato che la somministrazione di lavoro di cui al contratto di fornitura datato 22 marzo 2004, prorogato sino al 30 settembre 2004, è avvenuta fuori dei limiti e delle condizioni di cui all’art. 20, comma 4, del DIgs 276 del 2003”, in quanto “dalla documentazione versata in atti e dalle circostanze riferite dai testimoni … emerge la conferma della predisposizione a livello nazionale - all’epoca - del progetto della nuova rete logistica nonché l’avviamento della nuova rete di trasporti locali ‘week end’, senza tuttavia apprezzabili variazioni, in termini di consequenziali necessità di adeguamento delle risorse umane estese al CPO di Pesaro, che, viceversa, seguitava a funzionare nella modalità ‘manuale’”.
Sentenza 09 settembre 2013, n. 20598
1. Poste italiane spa stipulò con Obiettivo lavoro spa un contratto di fornitura di lavoro temporaneo in data 17 marzo 2004 per l’utilizzazione, nel periodo 22 marzo – 31 maggio 2004, di 10 lavoratori nei “casi previsti dal ccnl maggiore fabbisogno di personale connesso a situazioni di mercato congiunturali e non consolidabili”. In base a tale contratto l’agenzia inviò a Poste italiane spa il lavoratore F. Z.. In seguito il medesimo lavoratore venne nuovamente avviato presso Poste per altri due periodi di lavoro.
2. Il signor Z. convenne in giudizio Poste italiane spa chiedendo che venisse dichiarata la nullità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro temporaneo con conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato, riammissione in servizio alle dipendenze di Poste italiane spa e pagamento delle retribuzioni a decorrere dalla data di messa in mora.
3. Il Tribunale di Pesaro rigettò il ricorso.
4. Il lavoratore propose appello.
5. La Corte di Ancona lo ha accolto, provvedendo in questi termini: “‘accertato che la somministrazione di lavoro di cui al contratto di fornitura datato 22 marzo 2004, prorogato sino al 30 settembre 2004, è avvenuta fuori dei limiti e delle condizioni di cui all’art. 20, comma 4, del d. lgs. 276 del 2003, dispone la costituzione dall’inizio della somministrazione, del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, tuttora in essere alle dipendenze della datrice di lavoro utilizzatrice e condanna la società alla riammissione del ricorrente nel posto di lavoro disponibile nella filiale di Pesaro ovvero nella filiale più vicina.
Condanna la società al pagamento, a titolo risarcitorio, con decorrenza dal 23 gennaio 2007, fino alla effettiva riassunzione, di una somma mensile corrispondente all’ultima retribuzione mensile globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione”.
6. La Corte in motivazione ha precisato che, considerata la data di stipulazione del contratto, 22 marzo 2004, si applicava la disciplina del contratto di somministrazione dettata dal d. lgs. n. 276 del 2003, il cui art. 85, comma 1. lett. f) aveva abrogato la disciplina previgente, ma il cui art. 86, terzo comma, faceva salva in via transitoria e sino alla scadenza manteneva in vigore le clausole dei contratti collettivi vigenti “con esclusivo riferimento alla determinazione per via contrattuale delle esigenze di carattere temporaneo che consentono la somministrazione a termine”.
7. Di conseguenza, secondo la Corte, la disposizione dell’art. 20, quarto comma, va integrata con la previsione collettiva, che rende quindi legittima la causale indicata nel contratto di fornitura.
8. Tuttavia la Corte ha ritenuto che l’apposizione del termine sia illegittima non per genericità della causale, ma perché la prova documentale e testimoniale (testi e T.) aveva dimostrato che “la predisposizione a livello nazionale del progetto della nuova rete e l’avviamento della nuova rete di trasporti postali ‘week end’, allegate come ragione del fabbisogno di personale connesso a situazioni di mercato congiunturali e non consolidabili, non avevano comportato apprezzabili variazioni in termini di conseguenziali necessità di adeguamento delle risorse umane estese al CPO di Pesaro che, viceversa, seguitava a funzionare nella modalità manuale mentre era stato meccanizzato il centro di smistamento della corrispondenza dì Ancona”.
9. Il ricorso della società è articolato in sette motivi.
10. Il signor Z. si difende con controricorso.
11. La società ha anche depositato una memoria.
12. Con il primo motivo la società denunzia violazione degli artt. 20, 21 e 27 d.lgs. 276. Nel corso del motivo si sostiene che la Corte non avrebbe considerato che il lavoratore aveva denunziato vizi del contratto di lavoro a termine stipulato con l’agenzia e non del contratto di somministrazione stipulato tra l’agenzia e Poste italiane spa.
13. Il motivo non è fondato perché la Corte dà atto del fatto che il contratto di lavoro a termine stipulato tra il lavoratore e l’agenzia riproduce la clausola del contratto di somministrazione, che a sua volta riproduce l’art. 25 del ccnl 11 luglio 2003 (come viene ribadito anche dalla società a pag. 16 del ricorso per cassazione).
14. A ciò devono aggiungersi le decisive considerazioni concernenti il secondo motivo, con il quale si denunzia violazione dell’art. 86, terzo comma, del d. lgs, 276 del 2003, che avrebbe mantenuto in vigore l’art. 25 del ccnl 11 luglio 2003 e per questa via legittimato l’apposizione del termine al contratto in esame.
15. La norma invocata si esprime così: “In relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle disposizioni di cui agli articoli da 1 a 11 della legge 24 giugno 1997, n. 196, le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera a), della medesima legge e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, mantengono, in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro, con esclusivo riferimento alla determinazione per via contrattuale delle esigenze di carattere temporaneo che consentono la somministrazione di lavoro a termine. Le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 24 giugno 1997, n. 196, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, mantengono la loro efficacia fino a diversa determinazione delle parti stipulanti o recesso unilaterale”.
16. Si tratta di una norma di diritto transitorio che ha creato un ponte tra la disciplina del lavoro interinale dettata dalla legge n. 196 del 1997 (abrogata dall’art. 85, lett. f, del d. Igs. 276/2003) e la disciplina del lavoro in somministrazione dettata dagli artt. 20 e ss. del decreto legislativo 276 del 2003.
17. In base a questa disciplina di diritto transitorio viene prorogata l’efficacia temporale delle clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a) della legge 196 del 1997 (che individuano i casi in cui è consentita la stipulazione di contratti di fornitura dì lavoro temporaneo) e dal terzo comma della medesima norma (concernente le intese sulla sperimentazione del lavoro temporaneo in agricoltura e nell’edilizia).
18. Nel caso in esame, per questa via, è stata prorogata l’efficacia del ccnl 11 luglio 2003 per il personale non dirigente delle Poste, il cui art. 25 autorizza la stipulazione di contratti di fornitura di lavoro temporaneo per “maggiore fabbisogno di personale connesso a situazioni di mercato congiunturali e non consolidagli”.
19. Tutto ciò premesso, deve rilevarsi che il motivo di ricorso con il quale si denunzia la violazione di tale norma è eccentrico rispetto alla motivazione della Corte di Ancona, che non pone in discussione la perdurante vigenza della previsione dell’autonomia collettiva e la sua idoneità ad individuare una causale che risponda ai requisiti richiesti dalla legge.
20. Il punto è un altro: la legittimità della causale indicata nel contratto in somministrazione non significa che la stessa renda legittima l’apposizione del termine a prescindere dalla prova della sussistenza in concreto di una situazione che sia riconducibile alla ragione indicata in contratto. E la Corte di Ancona ha ritenuto illegittima la clausola non per la sua genericità, bensì perché “dalla documentazione versata in atti e dalle circostanze riferite dai testimoni qualificati R. R. (direttore del centro postale operativo CPO di P. e F. T. (funzionario del servizio logistica, applicato al Polo corrispondenza delle Marche) emerge la conferma della predisposizione a livello nazionale – all’epoca – del progetto della nuova rete logistica (in attuazione tuttavia a partire dal 2005) nonché l’avviamento della nuova rete di trasporti locali ‘week end’, senza tuttavia apprezzabili variazioni, in termini di conseguenziali necessità di adeguamento delle risorse umane estese al CPO di P., che, viceversa, seguitava a funzionare nella modalità ‘manuale’ (mentre era stato meccanizzato il Centro di smistamento della corrispondenza di Ancona)”.
21. In definita, a seguito di queste ed ulteriori valutazioni di merito, la Corte ha ritenuto “carente la prova che tale situazione avesse comportato per la filiale di P. una contingente necessità temporanea di fabbisogno di ulteriore personale” e non è stata dimostrata “una specifica situazione in relazione alla filiale di P. di un maggiore fabbisogno di personale connesso a situazioni di mercato congiunturali e non consolidabili” (come invece richiesto dal ccnl invocato).
22. Analoga sfasatura tra le ragioni della decisione e le motivazioni della impugnazione si rileva con riferimento al terzo motivo, con il quale si sostiene che la causale è legittima perché il ccnl contiene una previsione che deve essere considerata esemplificativa di alcune ipotesi che sono considerate rientranti nella previsione dell’art. 20 del d. lgs. 276 del 2003.
23. Inammissibile è, invece, il quarto motivo, che si risolve nella richiesta di una rivalutazione della prova testimoniale, non consentita in sede di giudizio di legittimità.
24. Rimangono assorbiti il quinto ed il sesto motivo poiché riguardano la pronuncia della Corte di Ancona su di un secondo motivo di appello assorbito a seguito dell’ accoglimento del primo motivo. Il rigetto dei motivi di ricorso per cassazione nei confronti della decisione basata sul primo motivo, implica l’assorbimento anche in sede di legittimità dei motivi concernenti il secondo motivo di appello.
25. È infondato il settimo motivo con il quale si denunzia una pretesa violazione dell’art. 27, del d. Igs. 276 del 2003, assumendo che la violazione della normativa in esame comporta l’instaurazione del rapporto di lavoro direttamente con l’utilizzatore della prestazione, ma non anche la trasformazione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Le ragioni della infondatezza di questa tesi sono state più volte esposte nella giurisprudenza di legittimità. Cfr., per tutte, da ultimo, anche per ulteriori richiami, Cass. 13404 del 2013.
26. Con la memoria la società ha chiesto che il risarcimento del danno sia determinato ai sensi dell’art. 32 della legge 183 del 2010. La richiesta è inammissibile perché il capo della decisione relativo al risarcimento del danno è passato in giudicato, in quanto non è stato oggetto di impugnazione nonostante il ricorso sia stato proposto quando la legge 183 del 2010 era già entrata in vigore.
27. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
28. Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio e vengono liquidate secondo i parametri previsti dal D.M. Giustizia, 20 luglio 2012, n. 140 (cfr. Cass. Sez. un. 17405 e 17406 del 2012).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione al controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 4.000,00 euro per compensi professionali, 50,00 euro per esborsi, oltre accessori.
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