REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FABRIZIO MIANI CANEVARI - Presidente
Dott. VITTORIO NOBILE - Consigliere
Dott. PIETRO CURZIO - Consigliere
Dott. ROSSANA MANCINO - Rel. Consigliere
Dott. IRENE TRICOMI - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 3486-2010 proposto da:
A A elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.GENTILE 8, presso lo studio
dell'avvocato , rappresentato e difeso dall'avvocato , giusta delega in atti
ricorrente
contro POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio
dell'avvocato TRIFIRO' SALVATORE, che la rappresenta e difende, giusta delega
in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 747/2009 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata
il 26/09/2009 r.g.n. 800/08; udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 08/03/2012 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;
udito l'Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega TRIFIRO' SALVATORE ;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARCELLO
MATERA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
1. Con sentenza del 26 settembre 2009 la Corte d'Appello di Milano respingeva
il gravame svolto da A.A. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato
la domanda proposta nei confronti della s.p.a Poste italiane per la
dichiarazione della nullità del termine apposto ai contratti stipulati inter
partes.
2. Il lavoratore deduceva legittimità del termine apposto ai contratti di
lavoro stipulati per esigenze sostitutive di personale assente con diritto alla
conservatone del posto, dal 22.12.2003 a 31.3.2004, dall'11.11.2004 al
31.1.2005 e dal 2.5.2005 al 4.6.2005. per la genericità della causale
sostituiva, la mancata indicazione del nome dei lavoratori istituiti e perché
stipulati nonostante il divieto di procedere ad assunzioni a termine nelle sedi
di lavoro ove non era stata effettuata la valutazione dei rischi.
3. Il primo Giudice respingeva la domanda e il lavoratore proponeva gravame
anche per l'omessa pronuncia sulle conseguenze della mancata valutazione dei
rischi negli uffici di destinazione.
La Corte territoriale rilevava che i contratti contenevano l'indicazione delle
ragioni giustificatrici dell'apposizione del termine, specificando la causale
della sostituzione (sostituzione di personale assente con diritto alla
conservazione del posto), l'ambito territoriale (Varano Borghi, Gavirate,
Besozzo), il tipo di mansioni (addetto al recapito) ed il periodo di
sostituzione e che la società avesse dato indicazioni specifiche sulle
sostituzioni effettuate negli uffici lombardi in relazione a ciascuno dei tre
contratti, confermate dal testimoniale e acquisito alla causa; che, soprattutto
per il secondo contratto, le molteplici sostituzioni in diversi uffici non
determinavano l'illegittimità del termine essendosi comunque trattato di
sostituzioni nell'ambito della filiale di Varese, in ufficio di piccole
dimensioni, ove non erano risultate scoperture d'organico; infine, quanto al
divieto di procedere ad assunzioni a termine nelle sedi di lavoro ove non era
stata effettuata la valutazione dei rischi, che la relativa disposizione non
prevedeva l'effetto di conversione del rapporto a tempo indeterminato preteso
dal lavoratore.
5 Avverso l'anzidetta sentenza detta Corte territoriale, A.A. ha proposto
ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L'intimata ha resistito con
controricorso.
Diritto
6. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicatone dell'art. 1362 cc. e dell'art. 1, co.2 d.lgs. 368/2001 in relazione
all'art. 12 delle preleggi e alla Direttiva 1999/70 e omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione.
Il ricorrente si duole che la corte di merito non abbia ritenuto non assolto
dalla società l'onere di specificazione della causale, prescritto dal d.lgs.
n.368 cit., atteso il riferimento, nei contratti stipulati tra le parti, alla
sola area geografica dell'intera Lombardia ed in considerazione della mancata
indicazione del nominativo dei dipendenti assenti sostituiti.
7. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente, denunciando violazione
degli artt. 115,116 e 416 c.p.e. e 2697 cc. errata interpretazione di un fatto
rilevante ai fini della decisione della
controversia e omessa e contraddittoria motivazione, censura l'erronea
interpretazione delle risultanze istruttorie da parte della Corte territoriale
riproponendo, expressis verbis, le medesime censure sollevate nell'atto di
gravame avverso la decisione di prime cure.
8. Esaminati i motivi in unico contesto, in ragione del collegamento tra di
essi esistente, deve premettersi che il
d.lgs. n. 368 del 2001, recante attuazione
della Direttiva 1999/70 CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES, costituisce la nuova ed
esclusiva fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in
sostituzione della L. n. 230 del 1962 e della successiva legislazione
integrativa.
9 Il preambolo della citata Direttiva 1999/70, premesso che con la
risoluzione del 9 febbraio 1999 il Consiglio dell'Unione europea ha invitato le
parti sociali a tutti i livelli "a negoziare accordi per modernizzare
l'organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro al fine di
rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario
equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza, evidenzia che l'accordo quadro m
questione stabilisce principi generali e requisiti minimi con l'obiettivo di
migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l'applicazione
del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro per la
prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti
o di rapporti di lavoro a tempo determinato". Per tale ragione,
accogliendo la richiesta delle parti sociali stipulanti e su proposta della
Commissione europea, il Consiglio, a norma dell'art. 4 dell'accordo sulla
politica sociale - ora inserito nel trattato istitutivo della Comunità europea
-, ha emanato la direttiva in questione, imponendo agli Stati membri di
conformarsi ad essa, adottando "tutte le prescrizioni necessarie per
essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti" (art. 2).
10. Il legislatore nazionale, nell'adempiere all'obbligo comunitario, ha
emanato il d.lgs. n. 368 del 2001, il quale nel testo originano, vigente all'epoca
dei contratti ora in questione, all'art. 1, comma 1, prevede, al comma 1, che
"è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di
lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo" e, al comma 2, che "l'apposizione del
termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da
atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 7".
11. E' stata altresì prevista, contestualmente all'entrata in vigore del
citato d.lgs. n. 368, l'abrogazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 79
del 1983, art. 8 bis, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le
disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).
12. Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall'abbandono del
sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 - che prevedeva la
tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro già oggetto di
ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L n. 79 del 1983 e
alla L n. 56 del 1987, art. 23 - e dall'introduzione di un sistema articolato
per clausole generali, in cui l'apposizione del termine è consentita a fronte
di "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzammo o
sostitutivo".
13. Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno
un fondamentale criterio di razionalizzazione, costituito dal già rilevato
obbligo per il datore di lavoro di adottare l'atto scritto e di specificare, in
esso, le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo
adottate.
14. Nel caso dì specie, alla stregua dei motivi di ricorso, va stabilito come
debba essere configurato sul piano giuridico il concetto di specificazione con
riferimento all'ipotesi in cui il datore di lavoro abbia adottato la causale
dell'apposizione del termine in ragioni di carattere sostitutivo.
15. Come già rilevato, l'onere di specificazione della causale nell'atto
scritto costituisce una delimitazione della facoltà, riconosciuta al datore di
lavoro, di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per
soddisfare esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo
o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate, con l'evidente scopo
di evitare l'uso indiscriminato dell'istituto, imponendo riconoscibilità e
verificabilità della motivatone addotta fin dal momento della stipula del
contratto.
16. Proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che
il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più
standardizzate ma obiettive, con riferimento a realtà specifiche in cui il
contratto viene ad essere calato. Il concetto di specificità in questione
risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede di controllo
giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e
ragionevolezza.
17. Con riferimento specifico alle ragioni di carattere sostitutivo, pertanto,
il contratto a termine se in una situazione aziendale elementare è
configurabile, come strumento idoneo a consentire la sostituzione di un singolo
lavoratore addetto a specifica e ben determinata mansione, allo stesso modo in
una situazione aziendale complessa è configurabile come strumento di
inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia
riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica
che sia occasionalmente scoperta.
18. In quest'ultimo caso, il requisito della specificità può ritenersi
soddisfatto non tanto con l'indicazione nominativa del lavoratore o dei
lavoratori sostituiti, quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa
tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento
di una data funzione aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si
sono realizzate per il periodo dell'assunzione.
19. Questa Corte non ignora la sentenza della Corte costituzionale n. 214 del
2009, la quale, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità del
d.lgs. n. 368 cit., art. 1, commi 1 e 11, afferma che l'onere di specificazione
previsto dal comma 2 dello stesso art. 1 impone che, tutte le volte in cui
l'assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere
sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la
causa della sua sostituzione.
20. In tema di effetti delle sentenze interpretative di rigetto della Corte
costituzionale sull'interpretazione delle leggi da parte del giudice ordinano,
questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 166/2004) ha, invero, affermato che,
ove il Giudice delle leggi, nel ritenere non infondato il denunciato vizio di
incostituzionalità di una certa disposizione nell'interpretazione non
implausibile fornitane dal giudice del merito, indichi una possibile, diversa
interpretazione della stessa disposizione conforme a Costituzione, tale
interpretazione adeguatrice non interferisce con il controllo dì legittimità
rimesso alla Corte di legittimità ed il suo effetto vincolante per i giudici
ordinari e speciali, non esclusa la Corte di Cassazione, riguarda soltanto il
divieto di accogliere quell'interpretazione che la Corte costituzionale ha
ritenuto, sia pure con una pronuncia di infondatezza della questione di
legittimità costituzionale sottoposta al suo esame, viziata.
21. Nel caso di specie il passo della sentenza della Corte costituzionale sopra
citato dev'essere letto nel contesto argomentativo in cui esso è stato
formulato. Al passo estrapolato segue, infatti, la precisazione che
"considerato che per ragioni sostitutive si debbono intendere motivi
connessi con l'esigenza di sostituire uno o più lavoratori, la specificazione
di tali motivi implica necessariamente anche l'indicazione del lavoratore o dei
lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione; solamente in
questa maniera, infatti, l'onere che il d.lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2
impone alle parti che intendano stipulare un contratto di lavoro subordinato a
tempo determinato può realizzare la propria finalità, che è quella di
assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell'apposizione del termine
e l'immodificabilità della stessa nel corso del rapporto".
22. Tale precisazione sta a indicare che, nell'illimitata casistica che offre
la concreta realtà aziendale, accanto a fattispecie elementari in cui è
possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire,
esistono organizzazioni complesse in cui la stessa indicazione non è possibile
e "l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori" deve passare
necessariamente attraverso la "specificazione dei motivi", mediante
l'indicazione di criteri che, prescindendo dall'individuazione delle persone,
siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma.
23. Così intesa la sentenza della Corte costituzionale, l'opzione
interpretativa offerta da questo Collegio e pienamente coerente con quella
offerta dalla sentenza in questione che, per l'autorevolezza della fonte da cui
proviene, costituisce un contributo ermeneutico delta massima importanza.
24. Dunque, per concludere sul punto, l'apposizione del termine per "ragioni
sostitutive" è legittima se l'enunciazione dell'esigenza di sostituire
lavoratori assenti - da sola insufficiente ad assolvere il predetto onere di
specificazione - risulti integrata dall'indicazione di elementi ulteriori
(quali, l'ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione
lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi
alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero
dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati nominativamente, ferma
restando, in ogni caso, la verificabilità circa la sussistenza effettiva del
presupposto di legittimità prospettato.
25. Nel caso di specie appare congrua la parametrazione effettuata dal giudice
di merito, che ha ritenuto esistente il requisito della specificità con
l'indicazione nell'atto scritto della causale sostitutiva, del termine iniziale
e finale del rapporto, del luogo di svolgimento della prestazione a termine,
dell'inquadramento e delle mansioni del personale da sostituire.
26. In questo caso appare, infatti, rispettato quel criterio di elasticità
che la nuova formulazione della norma di legge impone, pur nell'ambito di una
parametrazione concettuale con riferimento all'ambito territoriale di
riferimento, al luogo della prestazione lavorativa, alle mansioni del
lavoratore (o dei lavoratori) da sostituire e, ove necessario in relazione alla
situazione aziendale descritta, il diritto del lavoratore sostituito alla
conservazione del posto.
27. L'accertamento effettuato, al riguardo, dal giudice di merito appare
logicamente articolato e correttamente motivato ed è, pertanto, in questa sede
incensurabile.
28. 1 primi due motivi sono, pertanto, infondati e debbono essere
rigettati.
29. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente, denunciando violazione
dell'art. 3, d.lgs. 368/2001, censura la statuizione della Corte territoriale
per aver escluso la conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato
sulla base del rilievo che la disposizione che vieta di procedere ad assunzioni
a termine nelle sedi ove non sia stata effettuata la valutazione dei rischi non
prevede, altresì, detto effetto. Assume il ricorrente che l'opzione ermeneutica
della corte territoriale nel senso della trasformazione a tempo indeterminato
del rapporto di lavoro solo per il termine illegittimo, tratterebbe in modo
diverso, escludendo la conversione, la condotta di maggior gravità, qual è la
violazione del citato art. 3.
30. Il motivo è meritevole di accoglimento.
31. L'art 3 del decreto legislativo n. 368 ha introdotto una quadruplice
serie di divieti all'apposizione del termine al contratto di lavoro
subordinato, così rafforzando il peculiare disvalore che connota le assunzioni
a termine effettuate in violazione degli specifici divieti stabiliti a protezione
di interessi intensamente qualificati sul piano costituzionale, e limitando
l'autonomia negoziale delle parti nella stipulazione del contratto di lavoro a
termine.
32. Il disvalore legislativo, sancito con il divieto a contrarre, viene, nella
specie, in considerazione con riferimento al divieto all'apposizione del
termine "da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione
dei rischi ai sensi dell'articolo
4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626,
e successive modificazioni" [art. 3, lett. d), d.lgs. n.368 cit].
33. La specificità del precetto, alla stregua del quale la valutazione dei
rischi assurge a presupposto di legittimità del contratto, trova la ratio legis
nella più intensa protezione dei rapporti dì lavoro sorti mediante l'utilizzo
di contratti atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari
quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con
l'ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore
esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un'attenuata
motivazione, come con dovizia emerge dal rapporto OIL, del 28 aprile 2010, Rischi
emergenti e nuove forme dì prevenzione in un mondo del lavoro che cambia.
34. Né va sottaciuto che la disposizione de qua costituisce l'armonizzazione,
nell'ordinamento italiano, della regola del necessario equilibrio tra
flessibilità e sicurezza cui è improntato il 5° considerando dell'Accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva di attuazione e
recepimento 1999/70/CE del 28 giugno 1999, recante espressamente l'invito del
Consiglio europeo alle parti sociali a negoziare accordi per "modernizzare
l'organizzazione del lavoro, comprese formule flessibili di lavoro, onde
rendere produttive e competitive le imprese e raggiungere il necessario equilibrio
tra la flessibilità e la sicurezza" (pur richiamato nel § 9 che precede).
35. La valorizzazione della protezione del lavoratore e della lavoratrice con
minor familiarità con l'ambiente di lavoro è, del resto, in consonanza con
quanto già da questa Corte riaffermato con riferimento alla peculiare pregnanza
degli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori meno esperti. Invero,
le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, preordinate ad
impedire l'insorgere di pericoli, anche eventuali e remoti in qualsiasi fase
del lavoro, sono dirette a tutelare il lavoratore anche contro gli incidenti
derivanti da un suo comportamento colposo e dei quali, conseguentemente,
l'imprenditore è chiamato a rispondere per il semplice fatto del mancato
apprestamento delle idonee misure protettive, pure in presenza di condotta
imprevidente e negligente del lavoratore, tali disposizioni, e gli obblighi
correlati, assumono peculiare pregnanza nei confronti, ad esempio, degli
apprendisti (v., fra le altre, Cass. 11622/2007).
36. A fronte di tale pregnante obbligo di sicurezza verso i lavoratori con
minor esperienza e familiarità verso l'ambiente di lavoro, l'ordinamento, in
limine, esprime il proprio disvalore verso l'inosservanza degli adempimenti in
tema di sicurezza dei luoghi di lavoro vietando al datore di lavoro, che la
valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori non abbia
effettuato, di stipulare il contratto di lavoro a termine.
37. Tanto premesso, incombe sul datore di lavoro che intenda sottrarsi alle
conseguenze della violazione del divieto, l'onere di provare di aver assolto
specificamente l'adempimento, con la valutazione dei rischi nei termini
richiesti dalla normativa, all'evidenza in epoca antecedente alla stipula del
contratto a termine, e il giudice non può che constatare la sussistenza della
fattispecie lecita o vietata dall'ordinamento.
38. Venendo alle conseguenze della violazione del divieto, posto dunque da
norma imperativa, sicché la pattuizione difforme risulta contra legem, va
riaffermato il principio costantemente ribadito da questa Corte {ex multis,
Cass. 10033/2010; 2279/2010; 12985/2008), secondo cui il d.lgs. n. 368 cit.
(applicabile, nella fattispecie, ratione temporis) ha senz'altro confermato pur
anteriormente alla novellazione operata, dalla L. n. 247 del 2007, art. 1,
comma 39 ("Il contratto di lavoro subordinato e stipulato dì regola a
tempo indeterminato"), il principio generale secondo cui il rapporto di
lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo, pur
sempre, l'apposizione del termine un'ipotesi derogatoria rispetto al suddetto
principio, in consonanza con la premessa su cui si fonda l'accordo quadro
stesso, vale a dire "che i contratti dì lavoro a tempo indeterminato costituiscono
la forma comune dei rapporti di lavoro, mentre i contratti di lavoro a tempo
determinato rappresentano una caratteristica dell'impiego in alcuni settori o
per determinate occupazioni e attività" e che, pertanto, il beneficio
della stabilità dell'impiego deve essere inteso come un elemento portante della
tutela dei lavoratori (così Corte giustizia Comunità europee, sentenza 22
novembre 2005, causa C - 144/04, Mangold, punto 64; sentenza Angelìdaki, punto
104), laddove i contratti di lavoro a termine sono idonei a rappresentare sia
le esigenze dei datori di lavoro che dei lavoratori "soltanto in alcune
circostanze" .
39. Ne risulta che la nullità della clausola del termine di durata al contratto
di lavoro apposto in divieto di norma imperativa comporta la nullità
dell'opzione contrattuale scelta dalla parti contraenti verso l'ipotesi
derogatoria (del lavoro a termine) e la validità del contratto di lavoro,
stipulato inter partes, secondo la regola generale del rapporto a tempo
indeterminato.
40. Tale soluzione trova, del resto, conferma nei consolidati principi, più
volte affermati da questa Corte di legittimità, con riferimento, da un lato, al
carattere eccezionale della nullità totale (v., fra le altre, Cass. 10050/1996;
Cass. 11248/1997) e, dall'altro, alla portata della norma di cui al secondo
comma dell'art. 1419 cc.
41. In particolare è stato affermato che, ai fini dell'operatività della
disposizione di cut all'art. 1419, secondo comma, cc. che contempla la
sostituzione delle clausole nulle di un contratto contrastanti con norme
inderogabili, con la normativa legale, non si richiede che le disposizioni
inderogabili dispongano espressamente la sostituzione, in quanto la locuzione
codicistica ("sono sostituite dì diritto") va interpretata non nel senso
dell'esigenza dì una previstone espressa della sostituzione, ma in quello
dell'automaticità della stessa, trattandosi di elementi necessari del contratto
o di aspetti tipici del rapporto, cui la legge ha apprestato una propria
inderogabile disciplina" (v., ex multis, Cass. 6170/2005).
42. Tale indirizzo risulta coerente anche sul piano sistematico, in rapporto al
principio generale fissato dall'art, 1339 cc. che ha una portata generale nel
quadro della (etero)integrazione della regolamentazione contrattuale.
43. Peraltro questa Corte ha costantemente affermato che la disposizione
dell'art. 1419, secondo comma, c.c, "impedisce che al risultato
dell'invalidità dell'intero contratto possa pervenirsi in considerazione della
sussistenza di un vizio del consenso cagionato da errore di diritto essenziale,
avente ad oggetto la clausola nulla in rapporto alla norma imperativa destinata
a sostituirla, poiché l'essenzialità di tale clausola rimane esclusa dalla
stessa prevista sua sostituzione con una regola posta a tutela di interessi
collettivi di preminente interesse pubblico" (v., tra le altre, Cass.
19156/2005).
44. In particolare, poi, Cass. 3293/1983 (pur con riferimento al pregresso
regime di cui alla L. n. 230 del 1962) ha altresì precisato che "tale principio
trova applicazione anche nel caso di apposizione del termine finale ad un
contratto dì lavoro subordinato, fuori dalle ipotesi espressamente previste
dalla legge, che non può mai essere considerata come una causa sine qua non
della stipulazione, ma costituisce un patto che ... è riconducibile al novero
degli accidentalia negotii".
45. Tale riconducibilità deve ancor più affermarsi nel nuovo regime, in
considerazione della chiara lettera della norma (" E' consentita
l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a
fronte di ragioni .. ", "L'apposizione del termine non e ammessa
..."), nonché del carattere imperativo della stessa, per cui deve
ritenersi che, nella disciplina del lavoro a termine (e pure anteriormente alla
legge n. 247 del 2007), in definitiva, il termine assurge ad elemento
accidentale, con la conseguenza che, parimenti, la nullità della relativa
clausola non si estende all'intero contratto.
46. Nella specie a tali argomenti vanno, peraltro, aggiunte considerazioni
proprie dell'inderogabilità tipica delle norme poste a tutela dei lavoratori,
nel chiaro solco tracciato dalla Corte costituzionale (a partire dalla sentenza
n. 210 del 1992, confermata., nella sostanza, dalla successiva sentenza n, 283
del 2005).
47. La Corte costituzionale, infatti, (pur con riferimento alla fattispecie
del contratto di lavoro a tempo parziale) ha chiaramente affermato, in
generale, che. "L'art, 1419 cc, comma 1 ... non è applicabile rispetto al
contratto di lavoro, allorquando la nullità della clausola derivi dalla
contrarietà di essa a norme imperative poste a tutela del lavoratore, così
come, più in generale, la disciplina degli effetti della contrarietà del
contratto a norme imperative trova in questo campo (come anche in altri)
significativi adattamenti, volti appunto ad evitare la conseguenza della
nullità del contratto. Ciò in ragione del fatto che, se la norma imperativa è
posta a protezione di uno dei contraenti, nella presunzione che il testo
contrattuale gli sia imposto dall'altro contraente, la nullità integrale del
contratto nuocerebbe, anziché giovare, al contraente che il legislatore intende
proteggere. Così non si dubita che non si estende all'intero contratto la
nullità, per motivi dì forma o di contenuto, del patto di prova (art. 2096 cc.)
o del patto di non concorrenza (art. 2125 cc), oppure del patto con cui venga
attribuito al datore di lavoro un potere illimitato e incondizionato di variare
unilateralmente le mansioni o il luogo di lavoro (art. 2103 secondo comma cc),
ovvero della clausola appositiva di un termine alla durata del contratto di
lavoro (L. 18 aprile 1962 n. 230), ovvero della clausola che preveda la
risoluzione del rapporto di lavoro in caso dì matrimonio (L. 9 gennaio 1963, n.
7. art. 1), e così via. Ed il medesimo assetto si registra anche rispetto a
pattuizioni che incidono sullo stesso schema causale del contratto: così è per
"apprendistato ... e per il contratto di formazione lavoro ... posto che
la nullità delle relative pattuizioni - per motivi di forma o procedimentali
ovvero per difetto delle condizioni sostanziali di ammissibilità di tali figure
contrattuali - non è comunque idonea a travolgere integralmente il contratto,
ma ne determina la cd. conversione in un "normale" contratto di
lavoro (o meglio, la qualificazione del rapporto come normale rapporto di
lavoro, in ragione dell'inefficacia della pattuizione relativa alla scelta del
tipo contrattuale speciale) senza che vi sia spazio per l'indagine - oggettiva
o soggettiva - circa la comune volontà del contraenti in ordine a tale
esito" (Corte cost. 210/1992).
48. Ed ancora, per il Giudice delle leggi, "tutto ciò, del resto,
rappresenta una naturale e generale conseguenza del fatto che, nel campo del
diritto del lavoro - in ragione della disuguaglianza di fatto delle parti del
contratto, dell'immanenza della persona del lavoratore, nel contenuto del
rapporto e, infine, dell'incidenza che la disciplina dì quest'ultimo ha
rispetto ad interessi sociali e collettivi - le norme imperative non assolvono
solo al ruolo di condizioni di efficacia giuridica della volontà negoziale, ma,
insieme alle norme collettive., regolano direttamente il rapporto, in misura
certamente prevalente rispetto all'autonomia individuale, cosicché il rapporto
di lavoro, che pur trae vita dal contratto, è invece regolato soprattutto da
fonti eteronome, indipendentemente dalla comune volontà dei contraenti ed anche
contro di essa... E la violazione del modello di contratto e di rapporto
imposto all'autonomia individuale dà luogo, di regola, alla conformazione reale
del rapporto concreto al modello prescritto - per via di sostituzione o
integrazione della disciplina pattuita con quella legale ovvero per via del
disconoscimento di effetti alla sola disposizione contrattuale illegittima - e
non già alla riduzione del rapporto reale ad una condizione dì totale o
parziale irrilevanza giuridica." (Corte cost, n. 210 cit).
49. Tali considerazioni, per la loro natura e portata generale, si attagliano
perfettamente anche al regime stabilito dal decreto legislativo n. 368 cit.,
senza che rilevi, in alcun modo, la mancanza di una norma sanzionatoria
espressa.
50. Tanto premesso, il motivo del ricorso devoluto a questa Corte investe, per
le conseguenze della conversione del contratto, il tema cui è riferìbile lo ius
superveniens, evocato dalla società nella memoria ex art. 378 c.p.c, di cui
alla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7.
51. Così recitano le disposizioni richiamate: "5. Nei casi di conversione
dei contratto a tempo determinato, il "giudice condanna il datore di
lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva
nella misura compresa tra un minimo di 2.5 ed un massimo di 12 mensilità
dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati
nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o
aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l'assunzione, anche a tempo
indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell'ambito
di specifiche graduatorie, il limite massimo dell'indennità fissata dal comma 5
è ridotto alla metà.
7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i
giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della
presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli,
fini della determinazione
della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine
per l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed
esercita i poteri istruttori ai sensi dell'art. 421 del codice di procedura
civile".
52. La disciplina de qua, applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in
grado di legittimità (sul punto v. Cass. ord. 2112/2011), come è stato già
affermato da questa Corte (v., fra le altre, Cass. 3056/2012 ,
Cass. 1411/2012, Cass. 1409/2012), alla luce della sentenza interpretativa di
rigetto della Corte Costituzionale n. 303 del 2011, è fondata sulla ratio legis
diretta ad "introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole,
certa ed omogenea applicazione", rispetto alle "obiettive incertezze
verificatesi nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del
danno secondo la legislazione previgente".
53. La norma, che "non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno
dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto,
assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato", in base ad un' "interpretazione costituzionalmente
orientata", va intesa nel senso che "il danno forfetizzato
dall'indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto
"intermedio", quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino
alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto",
con la conseguenza che, a partire da tale sentenza, "è da ritenere che il
datore dì lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il
lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in
ipotesi di mancata riammissione effettiva" (altrimenti risultando
"completamente svuotata" la "tutela fondamentale della
conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato").
54. Nel contempo, sempre alla luce della citata pronuncia della Corte
costituzionale, il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione
dell'aliunde perceptum., sicché l'indennità onnicomprensiva assume una chiara
valenza sanzionatoria ed è dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di
danno, per avere il lavoratore prontamente reperito un'altra occupazione.
55. In definitiva la norma in oggetto, come affermato dal Giudice delle leggi,
risulta "adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei
contrapposti interessi". Infatti, al lavoratore garantisce la conversione
del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo
indeterminato, unitamente ad un'indennità che gli è dovuta sempre e comunque,
senza necessità né dell'offerta della prestazione, né di oneri probatori di
sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione del
risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data
d'interruzione del rapporto fino a quella dell'accertamento giudiziale del
diritto del lavoratore al riconoscimento della durata indeterminata di esso. Ma
non oltre, pena la vanificazione della statuizione giudiziale impositiva di un
rapporto di lavoro sine die.
56. Peraltro la Corte Costituzionale (richiamando le proprie precedenti
pronunce: sent. nn. 298/2009, 86/2008, 282/2007, 354/2006, ord. n. 102/2011,
109/2010 e 125/208 ) ha escluso "che inconvenienti solo eventuali e di
mero fatto, che non dipendono da una sperequazione voluta dalla legge, ma da
situazioni occasionali e talora patologiche (come l'eccessiva durata dei
processi in alcuni uffici giudiziari)" possano rilevare al fini del
giudizio di legittimità costituzionale. Del resto circa le "presunte
disparità di trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento m giudizio
del diritto del lavoratore illegittimamente assunto a termine" la Corte Costituzionale
ha rilevato non solo che "il processo è neutro rispetto alla tutela
offerta", ma anche che "l'ordinamento predispone particolari rimedi,
come quello cautelare, intesi ad evitare che il protrarsi del giudizio vada a
scapito delle ragioni del lavoratore (sentenza n. 144 del 1998"), nonché
gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle
controversie dì cui alla legge 24 marzo 2001 n. 89".
57. Inoltre, la stessa Corte ha evidenziato che "la garanzia economica in
questione non è ne' rigida, ne' uniforme" e, "anche attraverso il
ricorso ai criteri indicati, dall'art. 8 della legge n. 604 del 1966, consente
di calibrare l'importo dell'indennità da liquidare in relazione alle
peculiarità delle singole vicende, come la durata del contratto a tempo
determinato (evocata dal criterio dell'anzianità lavorativa), la gravità della
violazione e la tempestività della reazione del lavoratore (sussumibili sotto
l'indicatore del comportamento delle parti), lo sfruttamento di occasioni di
lavoro (e di guadagno) altrimenti intangibili in caso di prosecuzione del
rapporto (riconducibile al parametro delle condizioni delle parti), nonché le
stesse dimensioni dell'impresa "immediatamente misurabili attraverso il
numero dei dipendenti".
58. A tale interpretazione adeguatrice, indicata (con sentenza interpretativa
di rigetto) dal Giudice delle leggi come conforme a Costituzione, con
riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e 117 primo comma, il
Collegio, condividendo le argomentazioni sulla ratio della norma e sullo
sviluppo dell'operazione ermeneutica, intende aderire, non ravvisando, nel
contempo, una diversa interpretazione che sia parimenti non solo rispettosa
della Costituzione ma anche del tutto conforme alla lettera e alla ratio della
norma stessa (cfr. Cass. 166/2004, Cass. 1581/2010).
59. Così intesa, in sostanza come una sorta di penale stabilita dalla legge -
in stretta connessione funzionale con la declaratoria di conversione del
rapporto di lavoro - a carico del datore di lavoro per la nullità del termine
apposto al contratto di lavoro e determinata dal giudice nei limiti e con i
criteri dettati dalla legge, a prescindere sia dall'esistenza del danno
effettivamente subito dal lavoratore (e da ogni onere probatorio al riguardo),
sia dalla messa in mora del datore di lavoro, con carattere
"forfetizzato", "onnicomprensivo" di ogni danno subito per
effetto della nullità del termine, nel periodo che va dalla scadenza dello
stesso fino alla sentenza che ne accerta la nullità e dichiara la conversione
del rapporto, l'indennità in esame appare non solo conforme alla Costituzione
(ai sensi di Corte Cost. 303/2011 cit.), bensì anche pienamente rispondente
alla lettera e allo spirito della legge.
60. Altre interpretazioni, che in qualche modo riducano o eliminino il
predetto carattere "onnicomprensivo" dell'indennità, ovvero ne
delimitino ulteriormente il periodo di "copertura", in ragione di
elementi (come la messa in mora o l'epoca della domanda) estranei alla
fattispecie legale (al pari di quelle, opposte, estensive del periodo
medesimo), risulterebbero travalicare i detti fondamentali criteri ermeneutici.
61. Orbene tale normativa sopravvenuta va applicata nel caso in esame, con
riferimento alle conseguenze, sulla regolamentazione contrattuale, della
nullità del termine per violazione dell'art. 3 del d.lgs. n.368 del 2001.
62. La corte territoriale, nell'esaminare il relativo motivo di gravame, è
pervenuta all'affermazione del principio di diritto, con opzione ermeneutica
peraltro di segno opposto a quella indicata da questo Collegio, senza compiere
alcun accertamento in fatto con riferimento ai relativi esiti dell'assolvimento
o meno del predetto obbligo da parte del datore di lavoro.
63. La causa va, pertanto, rinviata ad altro Giudice di merito, che si
individua nella stessa Corte di appello di Milano, in diversa composizione, la
quale, anche nei sensi e limiti del detto ius superveniens, e con gli
adempimenti in rito previsti dal comma 7 del citato art. 32, provvederà a
riesaminarla, regolamentando anche le spese del giudizio di legittimità,
attenendosi al seguente principio di diritto: "La clausola di apposizione
del termine al contratto di lavoro da parte delle imprese che non abbiano
effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, è nulla per
contrarietà a norma imperativa e il contratto di lavoro si considera a tempo
indeterminato. Spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se
correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato
di legittimità, la sussistenza del presupposto indicato dall' art. 3, lett. d),
del d.lgs. n.368 cit."
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso e respinge gli altri; cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese
del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Milano, in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, l'8 marzo 2012
Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2012.
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